Diritto di Famiglia

Affidamento esclusivo al padre

La Corte di Cassazione, Sezione I civile, con una recentissima pronuncia, l’ Ordinanza 8 aprile 2019, n9764, statuisce che “Nell’interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione”.

Affidamento esclusivo al padre

affidamento esclusivo al padre

Detto provvedimento non fa che ribadire un principio ormai consolidato a livello normativo e giurisprudenziale nel nostro ordinamento, quello secondo cui è prioritario attuare il diritto del minore ad avere un rapporto equilibrato con i genitori, nonostante la crisi del rapporto tra questi e ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi

Ad oggi la disciplina relativa all’affidamento dei figli va ricercata nell’art.  337-ter che ricalca fondamentalmente la previgente disciplina contenuta negli artt. 155 ss. c.c.

Nel lungo testo della norma si statuisce che il giudice “Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori…”

L’affido condiviso costituisce la regola mentre quello esclusivo, verso il quale è evidente un certo disfavore da parte del legislatore, resta l’eccezione.

L’art. 337-quater precisa infatti che il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori solo qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.

Tale regolamentazione costituisce il frutto di un’evoluzione normativa di rilievo che ha visto il succedersi di diverse tappe fondamentali.

La legge 54/2006 sull’affidamento condiviso ha introdotto infatti nel nostro ordinamento il principio della bigenitorialità, allineandosi con i principi sanciti dalla convenzione di New York sui diritti del fanciullo, sancendo il relativo il dovere dei genitori stessi di condividere le responsabilità e ogni aspetto della vita del figlio.

Il diritto del minore di mantenere una salda e continuativa relazione con madre e padre è infatti affermato nella Convenzione sui diritti del fanciullo (fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176) che, all’articolo 9, sancisce il diritto del fanciullo di non essere separato dal genitore affidatario, e di intrattenere con l’altro regolari rapporti.

L’Italia ha dunque proseguito con successivi mutamenti normativi attraverso i quali il legislatore ha perfezionato via via la disciplina della materia de quo.

Con la L. 10 dicembre 2012, n. 219  “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, si è proceduto all’unificazione dello status di figlio con lo scopo di  cancellare qualsiasi forma di discriminazione tra figli legittimi e figli naturali, cioè nati fuori dal matrimonio. .

Un ulteriore e significativo intervento è stato il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154.

Se fino all’emanazione dello stesso, a seconda che la fattispecie concreta consistesse nella separazione personale dei coniugi, nello scioglimento del matrimonio o nel caso di figli nati al di fuori di un’unione coniugale, la normativa di riferimento era rinvenibile negli artt. 155 ss. del codice civile, o nell’art. 6 della L. 898/1970 recante “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, o, rispetto ai figli nati fuori del matrimonio, nell’art. 317-bis c.c., con le modifiche da esso introdotte, riordinando la regolamentazione del rapporto genitori figli, il Capo II del Titolo IX, del Libro primo appunto agli artt. da 337-bis a 337-octies c.c. riunisce tutte le disposizioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito dei procedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio.

Alle numerose prescrizioni, già comprese dalla previgente disciplina della separazione, il Legislatore aggiunge, mutuando dalla disciplina del divorzio, che, qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.

Il fine primario, l’ottica che guida il giudice nella regolamentazione del rapporto genitori-figli è sempre la tutela dell’interesse del minore, intervenendo in modo significativo soprattutto nelle situazioni più sofferte e combattute.

E nello statuire quale sia il genitore collocatario e le condizioni che disciplinano il diritto di visita dell’altro, egli interviene a garantire che il primo agevoli il rapporto tra il figlio e il genitore non convivente (Cass. 4 ottobre 2003, n. 37814), “assumendo le opportune e necessarie iniziative per consentire al figlio il recupero della figura paterna/materna, e ciò, si sottolinea, a pena di decadenza dalla responsabilità genitoriale (Trib. Min. Roma 2 ottobre 2009 che allontana una bambina dall’abitazione della mamma con la quale la piccola vive; Trib.Min. Catanzaro 28.11.2006)”.

Affidamento esclusivo al padre: Cosa succede nella prassi?

La prassi vede come prevalente la scelta della figura materna quale genitore collocatario o, nei casi più gravi, come extrema ratio in linea rispetto a quanto detto finora e al disfavore del legislatore verso questo tipo di scelta, addirittura quale genitore affidatario (affidamento esclusivo alla madre).

Significativa una pronuncia della Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 giugno 14 settembre 2016, n. 18087 che, affermando il primario interesse morale e materiale dei figli in tenera età, “pur doverosamente e contestualmente armonizzato coi fondamentali diritti individuali, esercitabili ed esercitati da ciascuno dei genitori” sancisce eplicitamente il criterio della c.d. Maternal preference dalla “teorica valenza scientifica”.

Nonostante la prassi continui ad assecondare in prevalenza quanto affermato dagli Ermellini, non sono mancate significative pronunce in netta antitesi con la prima:

Il Trib. Milano, sez. IX civ, con il decreto 13-19 ottobre 2016, ha statuito infatti, a proposito della scelta del genitore colllocatario,  che, nel caso in cui sussista conflitto genitoriale in ordine al prevalente collocamento dei figli, il parametro “guida” è il superiore interesse del minore, non potendo al contrario trovare applicazione quello da alcuni definito come “principio della maternal preference”, non previsto dagli articoli 337-ter e ss del codice civile, e in in contrasto con la stessa ratio ispiratrice della legge 54 del 2006 sull’affidamento condiviso, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di prevalente collocamento, “non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale”.

Considerando che la genitorialità è definita “quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell’adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione, per la cui realizzazione non è strettamente necessaria una determinazione paritetica del tempo da trascorrere con il minore, risultando invece sufficiente la previsione di modalità di frequentazione tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore” (Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 23-09-2015, n. 18817), nell’ottica di costruire una normativa sempre più “figliocentrica”, la giurisprudenza si evolve passo passo al fine di equiparare via via le due figure genitoriali sotto ogni aspetto.

Orbene, una certa attenzione nei confronti della figura paterna si evince oggi dalle più recenti pronunce con le quali si è sancito il diritto al risarcimento del danno morale e biologico del genitore non affidatario, indipendentemente se sia il padre o la madre, di fronte alla condotta ostruzionistica dell’altro genitore che gli impedisca sistematicamente di visitare la prole e di trascorrere del tempo assieme.

Una madre è stata condannata ex art. 388 c.p. per aver assunto un atteggiamento neutrale di fronte al rifiuto del figlio di frequentare il padre. (Cass.  4 ottobre 2003 n. 37814: la Corte ha stabilito che “la donna non ha ritenuto di dover adottare i comportamenti strettamente indispensabili a consentire l’esercizio effettivo del diritto di visita al padre, non fornendo, sul piano materiale e su quello del rapporto con la figlia minore, quell’apporto minimo in termini di coordinamento e cooperazione che è sempre necessario per garantire l’esecuzione secondo buona fede (o meglio la non elusione) dei provvedimenti del giudice civile concernenti i minori”).

Del resto la stessa disciplina dell’affidamento condiviso (lo si ribadisce, posta come prima soluzione possibile) mira da un lato a una responsabilizzazione nei confronti del genitore eventualmente disinteressato al figlio e dall’altro a impegnare il genitore convivente con il figlio volto a consentire all’altro un coinvolgimento.

E di sovente, laddove sia la madre a non presentare i requisiti di idoneità o a contravvenire a tale obbligo, si verificano casi nei quali il giudice addirittura opta per un affidamento esclusivo al padre.

Del resto l’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo impone alle autorità nazionali l’obbligo di compiere ogni tentativo possibile per facilitare la conservazione o il ripristino di una congrua ed assidua frequentazione tra il minore ed il genitore non collocatario, e la giurisprudenza mira a utilizzare finanche lo strumento dell’affidamento esclusivo a un solo genitore allorchè l’altro non ne favorisca il rapporto con la prole.

Dunque, se genericamente l’art 337 quater cc così recita “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore…”, contravvenendo dunque al principio delle bigenitorialità nelle ipotesi in cui ritenga l’affidamento all’altro genitore in grado di danneggiare il benessere del figlio (con una limitazione temporanea della responsabilità genitoriale ma mantenendo sempre il diritto-dovere a vigilare sull’educazione ed istruzione del figlio), l’art. 70, d.lg. n. 151/2001 al comme 3 ter (Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) contiene cenni alla nozione di «affidamento esclusivo del bambino al padre» in seno al comma 3 ter, art. 70, d.lg. n. 151/2001.

Ultimamente le cose stanno cambiando…

E nella prassi, in numero progressivo vengono pronunciati negli ultimi anni significativi arresti giurisprudenziali che vedono la prole affidata in modo esclusivo al padre.

Si assiste infatti a una crescente attenzione nei confronti dei diritti paterni, anche sulla scorta della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell”Uomo perché l”Italia non è in grado di tutelare la potestà genitoriale vedendo sempre ed esclusivamente come vittime i padri separati dai propri figli” (CEDU, sez. II, sentenza 29 gennaio 2013 (Pres. Jočienė), Affaire Lombardo c/ Italia; sent. 30 giugno 2005 def. 30 novembre 2005, ric. n. 30595/02, Bove c. Italia; sent. 2 novembre 2010 def. 2 febbraio 2011, ric. n. 36168/09, Piazzi c. Italia).

In Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 13 settembre 2017, n. 21215  gli Ermellini affermano che è legittimo l’affidamento esclusivo al padre se la madre si dimostra inadeguata a svolgere il proprio ruolo, nel quale rientra anche il consentire ai figli di avere normali e significativi rapporti con l’altro genitore: “Non è qui in questione la ricorrenza o meno di una patologia, o semmai di un’altra, ma l’adeguatezza di una madre a svolgere il proprio ruolo nei confronti di una figlia minore che si trova in grave difficoltà”. Nella concreta fattispecie si accertavano nel merito i sintomi della Pas – Parental Alienation Syndrom.

La Corte, pur non esprimendosi sulla patologia (oggi peraltro dalla stessa Corte definita priva di solidità scientifica), confermava tali carenze comportamentali della madre.

Ancora in Tribunale Cosenza sez. II, decreto del 29/07/2015, n.778, di fronte a una personalità manipolativa della madre i giudici così si esprimono: “Si tratta di condotte che, complessivamente valutate, convincono il Collegio della assoluta inidoneità [della madre] ad occuparsi dei figli minori che gestisce ed utilizza in base alle sue esigenze ed alle proprie convinzioni, senza mostrare alcun rispetto per il loro diritto a coltivare il rapporto con l”altro genitore da cui invece tenta di allontanarli, anche fisicamente” pertanto “I minori (…) devono essere, quindi, affidati in via esclusiva al padre. (…) infatti, a differenza [della madre] ha dimostrato durante tutto il corso del presente procedimento, di voler tutelare in via primaria linteresse dei figli a vivere e crescere serenamente, affidandosi ai consigli ed alle soluzioni proposte dagli esperti (assistenti sociali, perito e Tribunale) anche se queste andavano spesso a suo discapito.

I presupposti che sollecitano l’affidamento esclusivo al padre devono consistere infatti in condotte vessatorie o pregiudizievoli della madre, contrarie all’interesse dei minori e ad una crescita sana ed equilibrata, che possono essere volte non solo ad allontanare i figli dalla figura paterna, denigrandola e operando una distruzione della stessa agli occhi della prole (ex multis Cassazione civile sez. VI, 07/12/2010, n.24841, madre responsabile di calunnia nei confronti del padre, o Tribunale Palermo, 02/11/2007) con eventuale alienazione parentale (argomento piuttosto dibattuto e controverso)  ma anche in una molteplicità di altri comportamenti.

Tra questi l’inottemperanza a ordini del Tribunale dei minori, emessi nell’interesse del figlio, con conseguente violazione del diritto del minore ad esempio ad incontrare (all’estero) il padre (Tribunale minorenni Milano, 06/07/2007); o ancora una forma di conversione religiosa che possa nuocere al figlio nel processo di socializzazione Trib. Prato, 13 febbraio 2009.

Tra le diverse fattispecie finora verificatesi anche l’inidoneità della madre, manifestata attraverso instabilità psichica o emotiva, anaffettività (Cassazione, la n.26122 del 21 novembre 2013),  o condotte che sfociano in maltrattamenti familiari ex art. 572, c.p. attraverso pluralità di azioni vessatorie (Cass. Pen., Sez. VI, sent. 10 dicembre 2010, n. 250).

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