Diritto Penale
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Particolare tenuità del fatto: art. 131 bis c.p.

La punibilità è esclusa?

Quali sono le differenze sostanziali tra fatto tenue e inoffensivo?

L’ offensività incide sulla stessa punibilità del fatto mentre la lieve tenuità è valutata dal giudice al momento di quantificazione della pena influenzando la porzione di sanzione comminata in fase di computo.

In caso di fatto inoffensivo il comportamento non è considerato reato in virtù del principio fondamentale del diritto penale legato alla necessaria presenza del danno o quanto meno della messa in pericolo del bene oggetto di protezione da parte della disposizione.

Il fatto tenue, al contrario, influisce sul computo della pena essendosi sì concretizzato il reato ma in modalità tali da richiedere una diminuzione della sanzionale poichè non particolarmente riprovevole.

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Il meccanismo appena descritto si conforma al principio di legalità che impone di adeguare la pena al caso concreto così come voluto dal legislatore che per ogni singolo reato non commina sanzioni fisse ma predispone un minimo e un massimo edittale tra cui il giudice può spaziare per conformare al meglio la punizione al fatto compiuto.

La sanzione penale, infatti, rappresenta un’ extrema ratio limitando la libertà personale, bene fondamentale tutelato dall’ art. 13 della Carta fondamentale, e pertanto applicabile esclusivamente quando qualsiasi altra misura risulta insufficiente in relazione al fatto commesso.

Per tali motivi il compimento della sola azione od omissione non è sufficiente ai fini della concreta punibilità essendo necessario anche valutare l’effettiva lesione dell’interesse protetto dalla norma penale.

L’ordinamento, infatti, non riceverebbe alcun vantaggio sanzionando un fatto che non ha nè leso né messo in pericolo l’oggetto della tutela giuridica.

Ai fini della punibilità è necessario, pertanto, integrare tutti gli elementi previsti in astratto dalla disposizione nonché arrecare un effettivo danno o, per lo meno, esporre il bene al pericolo laddove vi è arretramento della soglia di punibilità dettato dall’ importanza conferita allo stesso.

Ne consegue che “nullum crimen sine iniuria”, nessun reato può sussistere in assenza di danno o di pericolo.

Quanto al fondamento normativo, a livello codicistico, esso è rinvenibile nell ’art. 49 c.p. ove è esclusa la punibilità non solo di un fatto commesso nell’ erronea qualificazione dello stesso quale reato, ma altresì dell’azione o dell’omissione inidonea alla creazione del danno o del pericolo.

Nella prima ipotesi l’agente non è punibile poiché il reato non esiste essendo ritenuto tale esclusivamente dal reo e mancando qualsiasi riscontro normativo; nella seconda è assente l’ “iniuria” ossia il danno rivelandosi il fatto inoffensivo, inidoneo a ledere il bene protetto.

Per un’impostazione esegetica la norma in esame altro non rappresenterebbe che un doppione dell’art. 56 c.p. relativo al delitto tentato i quanto, anche in quest’ultimo caso, manca il compimento dell’azione o la verificazione dell’evento.

Si è obiettato ex adverso che differente è l’ambito applicativo riferendosi l’art. 49 c.p. genericamente al reato comprensivo sia dei delitti che delle contravvenzioni e utilizzando il termine “fatto” più ampio rispetto ad “atto” proprio dell’art. 56 c.p.

Sulla scorta di tali considerazioni la giurisprudenza ha fatto concreta applicazione dell’art. 49 c.p. in tema di uso indebito del telefono d’ufficio qualificandolo quale peculato d’uso ex art. 314, 2° comma c.p. non potendo ravvisarsi un’appropriazione delle onde elettromagnetiche generate dall’ apparecchio e, tra l’altro, non preesistenti, ritenendolo punibile solo se idoneo ad arrecare un effettivo danno alla p.a.

Altro ambito interessato quello relativo ai reato di falso consistenti in un’alterazione di stato, documenti, monete e segni distintivi integrante reato solo laddove realmente idonea a trarre in inganno ledendo la pubblica fede riposta in quei determinati oggetti con esclusione del falso innocuo e di quello grossolano ossia talmente evidente da non poter far cadere in errore alcuno.

Le ipotesi esaminate si caratterizzano per la totale assenza del danno o del pericolo.

Ben può accadere, però, che questi ultimi siano presenti, ma connotati da particolare tenuità.

In tali casi il fatto seppur inoffensivo è qualificato da peculiari modalità di condotta scevra da qualsiasi veemenza. Tali caratteri influenzano il quantum della pena atteggiandosi come attenuante idonea a diminuire la sanzione.

Mentre l’ offensività del fatto influisce sull’ “an”, sul “se” della punizione, la speciale tenuità è presa in considerazione dal giudice al momento del computo della pena.

Il reo ha, infatti, arrecato offesa, cagionato un danno al bene leso seppur attraverso modalità non particolarmente riprovevoli.

Il giudizio dell’ordinamento, pertanto, è di rimprovero seppur attenuato.

Quanto detto in base al principio di legalità riferibile anche alla pena e riscontrabile nella previsione di un minimo e massimo edittale tra cui il giudice può oscillare nell’ esercizio del suo potere discrezionale.

Tale facoltà non si traduce in arbitrium iudicii essendo egli obbligato a motivare le sue scelte ex art. 132 c.p. e dovendo seguire i parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p.

Tra questi ultimi, nelle componenti oggettive, rientrano anche le “modalità della condotta” nonché “la gravità del danno o del pericolo”.

Della speciale tenuità il legislatore tiene conto anche nei delitti contro il patrimonio ex art. 62,1° comma n. 4 c.p. e in quelli a tutela della pubblica amministrazione ex art. 323 bis c.p. ove è considerata vera e propria attenuante idonea a comportare una diminuzione di pena.

In particolare in tema di ricettazione, l’art. 648, 2° comma c.p. prevede una sanzione inferiore se il fatto previsto dalla norma risulta essere particolarmente tenue.

Ratio è il minor rimprovero muovibile al soggetto agente correlato da esigenze educative più blande ex art. 27 Cost.

Altro ambito interessato dalla circostanza diminuente è quello proprio dei delitti contro la personalità dello Stato di cui al Titolo I, Libro II del codice penale.

Da premettere necessariamente è la costruzione come reati di pericolo degli stessi ravvisandosi un arretramento della soglia del penalmente rilevante dettata dall’ importanza del bene protetto coincidente per alcuni con la stessa personalità dello Stato, per altri con l’insieme dei principi democratici dell’ordine costituito.

Nonostante ciò l’art. 311 c.p. prevede una diminuzione della pena se il fatto risulti di lieve entità desumibile dalla natura, dai mezzi, dalle modalità della condotta.

Il giudizio è incentrato sulle componenti oggettive del reato a nulla rilevando il dolo o la colpa in quanto è necessario verificare come concretamente si atteggia il fatto in base al principio di materialità che rende punibili gesti esteriori fuoriuscendo dalla mera fase ideativa.

Anche in tal caso il fondamento logico- giuridico è rinvenibile nel principio di legalità che impone di adeguare la punizione quanto più possibile al fatto concreto.

Le ipotesi fin qui esaminate hanno tutte matrice codicistica, ma la speciale tenuità è presa in considerazione anche da leggi complementari.

Ne costituisce un esempio l’art. 73, 5° comma del Testo Unico sugli stupefacenti (D. P. R. 309/ 1990).

Modificato di recente ad opera del d.l. 20 marzo 2014 n. 36 convertito con modifiche in legge 16 maggio 2014 n. 79, la precedente circostanza attenuate ha assunto il rango di reato autonomo.

Prima della novella, infatti, il comma in esame si atteggiava alla stregua di circostanza, elemento accidentale del reato principale.

Nell’ attuale formulazione esso assume dignità di vero e proprio illecito contenente una clausola espressa di sussidiarietà e diretto a punire le condotte di cui all’ art. 73, 1° comma c.p. caratterizzate da una lieve entità.

In tale evenienza non solo la speciale tenuità comporta una diminuzione di pena, ma funge da elemento costitutivo e da parametro di differenziazione tra due reati.

In che modo possono rilevare le modalità di commissione del fatto?

La lieve entità, infatti, può assumere ruoli diversi essendo configurabile anche quale condizione di procedibilità oppure causa di esclusione della punibilità.

Se nelle ipotesi fin qui esaminate la speciale tenuità influenza solo il quantum sanzionatorio, è necessario tener conto anche dei casi in cui la stessa incide sull’ esercizio dell’azione penale e sull’ “an” della punizione.

Partendo dalla prima qualificazione, la particolare tenuità si atteggia come condizione di procedibilità nel processo per i minorenni.

In ossequio alla giovane età, alle esigenze educative del minore nonché al trauma irreversibile che potrebbe conseguire ad una pena detentiva, l’art. 27 del D. p. R. n. 448 del 1988 impone al P. M. di chiedere sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto in caso di tenuità e occasionalità del comportamento.

In tale ipotesi la lieve entità influenza l’azione penale impedendone la prosecuzione.

Nella seconda ipotesi essa si atteggia quale causa di esclusione della punibilità andando ad impattare sull’ applicazione stessa della pena.

La logica sottesa a tale categoria è quella di escludere la sanzione quando viene reciso il nesso psicologico tra autore e reato.

Si pensi al caso di errore di fatto ai sensi dell’art. 47 c. p. idoneo a eliminare il dolo o, per alcuni, al caso fortuito ex art. 45 c.p., o il collegamento eziologico materiale come nell’ipotesi di fortuito relativamente ai fattori sopravvenuti oppure ancora laddove la pena è considerata superflua mancando reali esigenze punitive come disposto dall’ art. 131 bis c.p-.

 

Quali sono gli obiettivi perseguiti dal legislatore con l’introduzione dell’art. 131 bis c.p.?

Tale norma è stata introdotta dal d.l. 16 marzo del 2015 n. 28 ed esclude la punibilità in ipotesi di “esiguità del danno o del pericolo”.

Questa previsione ha comportato anche l’inserimento dell’art. 2621 ter c.c. in materia di false comunicazioni sociali ad opera della legge n. 69 del 2015 che, richiamando l’art. 131 bis c.p. vieta la sanzione per danno lieve alla società, ai soci e ai creditori.

La norma mira a deflazionare l’affollamento carcerario ed a evitare il cd “assaggio di prigione” nei casi in cui il fatto risulti di minima offensività.

Il fondamento logico- giuridico della norma è rinvenibile nella volontà del legislatore di migliorare la situazione delle carceri soprattutto a seguito dei molteplici richiami da parte dell’Unione Europea che, ripetutamente, ha sanzionato l’Italia per gli angusti e claustrofobici spazi a disposizione di ogni detenuto.

A tale obiettivo si affianca quello di ridurre il contenzioso giudiziario onde evitare l’eccessiva dilatazione dei procedimenti giudiziari dettata dall’ingente carico di lavoro di cui sono oberato i giudici in ossequio al principio del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione e, a livello sovranazionale, all’art. 6 CEDU. Anche per tale discrasia l’Italia è stata più volte oggetto di sanzioni U. E. cercando di adeguarsi al dictum comunitario con l’introduzione della legge Pinto con diritto al risarcimento del danno per irragionevole durata del processo.

L’art. 131 bis c.p. mira anche a conformare il sistema penale al principio di legalità modellando la pena al caso concreto e alla personalità del reo potendo la stessa, solo così, assolvere al ruolo rieducativo di cui all’art. 27 della Carta fondamentale.

Superate sono ormai le idee di una giustizia retributiva ossia “male inferto per male arrecato” e distributiva, avendo la sanzione la funzione di recuperare l’agente nella società anche se tale scopo non mira ad una rimoralizzazione dello stesso essendo sfornito di qualsiasi significato etico.

Se questo è il fondamento razionale dell’art. 131 bis c.p., la finalità della norma, gi obiettivi perseguiti, la natura non può che essere di causa di esclusione della punibilità come meglio specificato in precedenza.

Il fine del legislatore è incidere sull’ “an” della punizione, sulla stessa irrogazione della pena.

Tale esegesi prende spunto dalla stessa rubrica del Capo I del Titolo V nonché dalla lettera della disposizione laddove afferma che “la punibilità è esclusa”.

Quale l’ambito applicativo dell’art. 131 bis c.p.?

Esso si riferisce genericamente ai reati essendo, pertanto, applicabile sia ai delitti che alle contravvenzioni.

Il legislatore tiene conto, in primis, della pena prevista in astratto per ciascun tipo di reato che non deve superare nel massimo i cinque anni di detenzione anche se congiunta con sanzione pecuniaria determinata non tenendo conto delle circostanze ad eccezione di quelle speciali.

La lieve tenuità è valutata con richiamo ai parametri di cui all’art. 133, 1° comma c.p. con riferimento alle componenti oggettive ossia natura, specie, mezzi di esecuzione e soggettive cioè intensità del dolo e della colpa.

La norma contempla, inoltre, le ipotesi in cui la particolare tenuità è esclusa ovvero quando si è in presenza di spinte interiori particolarmente riprovevoli oppure di modalità aggressive della condotta che non possono non comportare l’applicazione di una pena.

Il 131 bis c.p., per di più, non può essere ascritto al delinquente abituale dichiarato tale dalla legge.

Si distingue tra delinquente abituale ai sensi dell’art. 102 e 103 c. p. ovvero colui che riporta più condanne in periodi ravvicinati per delitti della stessa indole tenuto conto della condotta di vita e professionale se il soggetto si nutre dei proventi del reato e per tendenza in caso di speciale inclinazione a delinquere.

È chiaro che tale stile di vita risulta essere degno di punizione a nulla rilevando la particolare tenuità dei fatti singolarmente considerati in quanto si innestano all’interno di un modus vivendi.

Altra ipotesi di esclusione si ha nel caso di condotte plurime o reiterate contrastando anche tale evenienza con la non punibilità.

L’ultimo coma dell’art. 131 bis c. p. estende l’ambito di applicazione anche alle norme che prevedono la particolare tenuità come circostanza.

Un esempio è costituito dall’art. 73, 5° comma Testo Unico in materia di stupefacenti, in precedenza analizzato, così come recentemente novellato.

Essendo divenuto reato autonomo, risulta applicabile la causa di esclusione ai sensi dell’art. 131 bis, 6° comma c. p.

Il giudizio di tenuità è duplice: in primis il giudice deve verificare la lieve tenuità ai fini dell’applicabilità del 5° comma e non del 1° comma dell’art. 73 e successivamente, in caso di positivo riscontro, procedere ex art. 131 bis c.p.

L’art. 131 bis c.p. si applica anche ai correi?

Il problema si pone in quanto l’art. 119 c.p. in relazione alla valutazione delle circostanze aggravanti o attenuanti di natura soggettiva ne limita la riferibilità solo al colpevole.

Il fondamento formale e sostanziale è quello di premiare esclusivamente il soggetto che effettivamente possiede i requisiti richiesti dalla norma non potendosi estendere ai correi le qualità personali.

La questione in giurisprudenza è sorta proprio in riferimento alla particolare tenuità di cui all’art. 62 n. 2 c.p. essendosi sviluppate due tesi contrastanti.

Per la prima impostazione la norma ha natura oggettiva data l’unitarietà del danno; per altri è strettamente riferita a fattori soggettivi propri dell’agente.

A sanare il conflitto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte optando per l’estensione dell’attenuante de qua anche ai correi in quanto non menzionata espressamente dall’art. 119 c.p. e rendendola applicabile per analogia in bonam il disposto dell’art. 59, 1° comma c. p. che estende le attenuanti anche se non conosciute o per errore ritenute inesistenti.

Ragionamento analogo è stato fatto anche per l’art. 131 bis c. p. anche se lo stesso, lo si ribadisce, ha natura di causa di esclusione della punibilità e non di attenuante.

Sulla falsa riga dei motivi alla base della decisione testè menzionata, dottrina e giurisprudenza, sono concordi sulla natura anfibica degli elementi considerati dall’art. 131 bis c.p.

Se, infatti, si valorizzano quelli oggettivi, esso risulterà estensibile anche ai concorrenti nel reato altrimenti ciò non è possibile.

Se, infatti, prevalgono le componenti soggettive non è possibile attribuire qualità personali a soggetto diverso dall’effettivo titolare.

 

L’art. 131 bis c.p. è compatibile con i reati con soglia?

In tale ipotesi il fatto assume rilevanza penale solo se oltrepassa i limiti contenuti nella previsione normativa.

È il legislatore che a priori ha effettuato la valutazione di rilevanza dei fatti.

Si pensi, ad esempio, al falso valutativo ante riforma e ai reati in tema di stupefacenti.

Di recente la questione si è posta per la guida in stato di ebbrezza.

A fronte di un orientamento contrario all’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. dettando esattamente la norma i limiti oltre i quali il fatto assume rilevanza penale, si staglia un’altra impostazione di segno positivo basata sulle concrete modalità di condotta.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamate a dirimere il contrasto, fanno proprio tale secondo filone di pensiero affermando che il giudizio sulla lieve entità non può mai essere astratto e aprioristico  essendo necessario un riferimento concreto.

Ben è possibile applicare l’art. 131 bis c. p. ai reati con soglia laddove vi sia la contestuale sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla disposizione indicando i limiti quantitativi esclusivamente l’inizio della rilevanza penale.

 

Quid iuris sull’applicabilità della disposizione ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore?

L’art. 131 bis c.p. è qualificato quale istituto di diritto sostanziale con conseguente riferimento all’art. 2 c. p. e al principio di irretroattività avente fondamento costituzionale nell’art. 25 della Carta in uno alla cessazione degli effetti penali della condanna in quanto la pena, anche in fase di esecuzione, è sempre sotto il costante controllo dell’organo giudicante, sub iudice, e alla retroattività della lex mitior ovvero della legge maggiormente favorevole che, in base alle sentenze gemelle emesse dalla Corte Costituzionale nell’anno 2006, trova appiglio negli artt. 3 e 117, 1° comma della Costituzione e espresso riconoscimento, a livello internazionale, negli artt. 6 e 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) firmata a Roma eil 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva dalle legge 4 agosto 1955 n. 848.

L’art. 131 bis c. p. trova, pertanto, applicazione anche quando risulta un trattamento maggiormente favorevole per il reo in virtù dell’uguaglianza essendo irragionevole trattare situazioni uguali in modo diverso in base al tempo di commissione del fatto e per l’adeguamento ai vincoli comunitari con possibile deroga solo laddove vi siano fondate, motivate e comprovate ragioni.

Non si tratta che di un caso concreto di quanto astrattamente previsto dall’art. 3 della Costituzione ove il legislatore impone non un approccio indiscriminato a tutte le situazione ma una diversificazione accostando i fatti simili e ragguagliando il relativo trattamento giuridico.

Diversa l’ipotesi di abolitio sine abrograzione ovvero di espulsione di una previsione incriminatrice dall’ordinamento ma senza totale abrogazione con trasferimento in altra disposizione di nuovo conio o riconducibilità in norma preesistente.

È il fenomeno di successione di leggi nel tempo con mera modifica e continua rilevanza penale della fattispecie nel sistema .

In tal caso è necessario sempre ricercare il trattamento di maggior favore e farne una corretta applicazione.

Dottrina e giurisprudenza si sono anche interrogate sull’ applicabilità dell’art. 131 bis c. p. alle ipotesi contemplate dai decreti legislativi n. 7 del 2016 e n. 8 dello stesso anno emanati in attuazione della legge delega n. 67 del 2014 relativa alla depenalizzazione.

La conclusione è stata a favore dell’applicabilità dell’art. 131 Bis c. p. che, in quanto causa di esclusione della punibilità risulta essere più favorevole al reo.

Ritornando al regime intertemporale generale, nessun dubbio sorge per la riferibilità all’ art.  2 c. p. data la natura sostanziale dell’istituto, ma è necessario verificare se l’art. 131 bis c. p. comporta anche l’estinzione del reato come disposto dal 2° comma della norma in materia di successione o rappresenta norma di favore ai sensi del comma 4° della stessa.

La dottrina e la giurisprudenza, tra molti contrasti, aderiscono a tesi opposte auspicando sulla menzionata questione l’intervento chiarificatore della Corte nella sua composizione più autorevole.

In ogni caso, l’impostazione maggioritaria sembra aderire alla seconda soluzione rappresentando l’art. 131 bis c. p. causa di esclusione della pena non equiparabile a quelle estintive ed influenzando solo la sanzione non anche l’esistenza del reato.

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