Diritto di Famiglia

Assegno di mantenimento ed assegno divorzile: come determinarli?

I grandi mutamenti socio-antropologici registratisi negli ultimi decenni, le battaglie femministe degli anni sessanta, la fisiologica evoluzione neuronale delle sinapsi cerebrali in relazione alle sempre nuove abilità richieste, hanno visto vertiginosamente aumentare la qualità e la capacità professionale del sesso femminile in ambito lavorativo affrancandolo dalla vetusta veste di “femme au foyer”. Riconoscendole ad ampio spettro una produttività lavorativa.

In tale contesto, se un tempo sposarsi era “per sempre” a causa delle forti perplessità di uscire da una empasse matrimoniale per il rischio di perdere ogni sostegno economico, ora non è più così. Ci si può sposare e poi anche lasciare senza grosse ripercussioni economiche, ben canalizzando la propria volontà e la maturata consapevolezza.

Perché anche rompendo un matrimonio divenuto negli anni disfunzionale, l’ex non rischia più di rimanere senza perché un assegno le deve essere corrisposto da parte dell’altro. E proprio nel determinarne l’ammontare, il giudice dovrà prendere in considerazione, prima tra tutti, quella capacità lavorativa tanto auspicata e finalmente riconosciuta, che può essere manifestata appieno od in via residuale.

Assegno di mantenimento ed assegno divorzile

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Ma vediamo innanzitutto di distinguere tra assegno di mantenimento post separazione ed assegno divorzile. Distinzione imprescindibile sia per le modalità ma, soprattutto, per ratio. Sì perché essendone diversa la finalità, cambiano i relativi criteri di determinazione.

Ed invero, l’assegno di mantenimento post separazione si presta ad una funzione prettamente perequativa e sostanzialmente riequilibrativa.

A tale stregua, l’assegno sarebbe rivolto a garantire all’ex moglie – solitamente la parte economicamente più debole – lo stesso tenore di vita avuto durante l’unione matrimoniale. In termini pratici, ciò si traduce per il coniuge con il reddito più basso il vedersi in qualche modo ricalibrato il proprio modus vivendi aggiungendo al proprio una parte del reddito dell’altro ex coniuge.

Per definirne l’ammontare, si dovrebbe procedere sommando i due redditi – previa detrazione di alcune spese vive che i due ex devono onorare post separazione – per poi dividerne la somma in due. In tal modo, dando ad ambedue le parti le medesime “chances di sopravvivenza” al matrimonio cui era improntata la precedente unione che vedeva accorpati i due redditi in ambito familiare.

Evidentemente, la cosa cambia se uno dei due ex non svolge alcuna attività lavorativa e non è quindi percettore di reddito. In questa ipotesi, abbastanza frequente per lo stato di disoccupazione dell’ex moglie, la fisionomia che tende ad assumere l’assegno di che trattasi perde quella connotazione perequativa appena descritta, per uscirne in tutta la sua funzione assistenziale.

In tal caso, la discrezionalità del giudice incontra dei criteri oggettivi per la relativa determinazione. Consolidata giurisprudenza di Cassazione chiarisce che si deve tener conto della capacità lavorativa dell’ex coniuge non percettore di reddito tenendo conto della relativa età e delle condizioni fisiche.

Ovvero, in via esemplificativa, se la ex moglie ha un’età di trent’anni al momento della separazione e non ha problemi di salute, verrà considerata assolutamente idonea ad espletare una qualsiasi attività lavorativa, presumibilmente in linea al suo livello di istruzione, cui, in costanza di matrimonio, ha evidentemente dovuto rinunciare per dedicarsi interamente alla famiglia. In simili fattispecie, il giudice terrà in considerazione il criterio dell’efficienza così determinando un quantum velatamente garantista per il coniuge economicamente più forte che si vedrà spogliato in misura inferiore del proprio reddito.

Dopo aver chiarito come avviene la determinazione dell’assegno di mantenimento post separazione, vediamo ora di occuparci della quantificazione dell’assegno divorzile.

Quest’ultimo va a sostituire quello fissato con la separazione ( cosiddetto “assegno di mantenimento” in stretto senso), e viene ad essere determinato quando ormai il legame coniugale è un trapassato remoto ed i due ex coniugi hanno intrapreso percorsi di vita assolutamente nuovi. A tale stregua, l’assegno de quo perde definitivamente ogni traccia perequativa andando semplicemente a garantire un’autosufficienza economica a quel coniuge che risulta essere più povero.

Molto similare all’assegno di mantenimento in favore della parte non percettrice di reddito, l’assegno divorzile viene a chiudere definitivamente il capito matrimoniale suggellando l’aspetto economico che rimarrà cristallizzato nel tempo.

Ed anche qui, autorevole e recente giurisprudenza della Suprema Corte ha suggerito dei criteri oggettivi tanto utili quanto imprescindibili. Ovvero: addebito della separazione; capacità del coniuge di mantenersi da solo, condizioni fisiche ed età, durata del matrimonio, contributo dato al menage domestico durante la convivenza, eventuale creazione di altra famiglia da parte dell’ex, ecc. Ma vediamo di sviluppare partitamente ciascun elemento.

Addebito

Se la separazione è intervenuta per una condotta in qualche modo illecita di uno dei due coniugi (infedeltà, violenza fisica o psicologica, violazione dei doveri coniugali in termini di assistenza e sostengo), appare evidente che il coniuge che se ne è reso colpevole nulla ha da pretendere dall’altro e non si vedrà riconosciuto alcun assegno.

Capacità del coniuge di mantenersi da solo

Anche qui, come visto sopra in tema di separazione, il giudice si trova a dover valutare la capacità lavorativa del coniuge più povero tenuto conto dell’età, delle condizioni fisiche e, soprattutto, dell’involontarietà dello stato di disoccupazione.

Ovvero, si deve considerare in ogni singolo caso che lo stato di bisogno sia “incolpevole”, non causato dalla propria inerzia o riluttanza. In altre parole, l’ex coniuge ancora giovane e sano, può ben riciclarsi nel mondo lavorativo tenuto conto del livello di istruzione e/o di precedenti esperienze lavorative.

Durata del matrimonio

Questo criterio appare molto evanescente ma va a tener conto delle cosiddette “aspettative di vita” del matrimonio, ovvero di quanta volontà e determinazione sia stata investita nella durata dell’unione. Si rivela un dato difficilmente valutabile ma appare chiaro che se un matrimonio ha avuto una durata di due o tre anno ed è finito a causa dell’infedeltà di uno dei due coniugi, di tale comportamento sarà preso in considerazione.

Contributo dato al menage domestico durante la convivenza

Nella maggior parte dei casi capita che sia la donna ad aver speso tutte le proprie energie nella famiglia, permettendo al marito di occuparsi esclusivamente della carriera così aumentando il proprio reddito ed il proprio valore professionale.

Di tutto ciò ne è compartecipe la moglie che si rivela come una sorta di “socio senza capitale” battente ma con un grande investimento in termini umani che ha prodotto, sebbene indirettamente, maggiore ricchezza al marito. La casalinga di lunga durata, che si è prodigata in toto nella famiglia, ha permesso al marito di limitare il suo contributo al menage al solo suo reddito, senza null’altro apportare all’unione matrimoniale. Una sorta di perdita di chances lavorative per la donna ed una maggiore crescita professionale per il marito.

Eventuale creazione di una famiglia da parte di ex

Appare evidente, che qui il giudice si troverà a cozzare con il nascituro nucleo familiare costituito da uno dei due ex di cui dovrà necessariamente tener conto in considerazione di molteplici fattori, quali l’eventuale monoredditualità e l’esistenza di prole.

In conclusione, separazione o divorzio, il giudice si trova a dover gestire le sorti di due vite che in un istante di intensa emozione si erano promesse per sempre, ed in un altro momento di grande mutamento esistenziale, si sono lasciate ciascuno al proprio destino.

Lavoro non facile! Sia per i giudici che per gli avvocati i quali, da questa e da quell’altra parte di un tavolo, a colpi di penna si trovano a dover regolare le modalità di sopravvivenza di persone umane in un segmento temporale che può ben essere tutta la vita.

Fonte foto: anconatoday

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