Diritto Civile

Risarcimento Danni Malasanità

Che tipo di responsabilità ha la struttura sanitaria per i danni derivanti da condotte dei suoi dipendenti?

Sul punto può ritenersi dato ormai acquisito che la responsabilità della struttura sanitaria, allorchè consegua ad una non diligente esecuzione della prestazione medica o infermieristica, abbia natura contrattuale.

In altre parole, è da riconoscersi all’ente sanitario una responsabilità piena ed autonoma per i danni provocati dai propri dipendenti e più in generale di coloro che operano nella struttura.

Responsabilità imputabile all’azienda indipendentemente dall’accertamento in concreto della responsabilità individuale dei singoli agenti.

Infatti, in altre parole, si fa riferimento ad una responsabilità dell’ente sanitario di natura diretta per essere riferibile all’ente, in virtù del principio di immedesimazione organica e della stipula di fatto di un contratto d’opera professionale col paziente, l’operato del medico ovvero del personale infermieristico inserito nell’organizzazione del servizio, che, eseguendo in modo non diligente la prestazione sanitaria, ha causato danni al privato che ha richiesto ed ottenuto la medesima prestazione.

Che conseguenze comporta la responsabilità contrattuale dell’ente sanitario?

La qualificazione in termini contrattuali della relazione qualificata ente sanitario – paziente comporta la legittimazione passiva autonoma della struttura e genera importanti ricadute in tema di onere probatorio. Dalla detta natura contrattuale conseguirebbe ad esempio, almeno in un primo momento, che, qualora il trattamento o l’intervento non fossero di difficile esecuzione, il mero aggravamento della situazione patologica del paziente o l’insorgenza di nuove patologie eziologicamente collegabili ad essi comporterebbe, ai sensi dell’art. 1218 del codice civile, una presunzione semplice in ordine all’inadeguata o negligente prestazione, conseguentemente, il paziente nel momento in cui chiede il risarcimento del danno subito assolverebbe all’onere probatorio che gli incombeva dimostrando sia l’aggravamento delle sue condizioni o l’insorgenza di nuove patologie, sia il rapporto causale tra le stesse ed il trattamento o l’intervento.

Spetterebbe, quindi, all’obbligato, il sanitario o la struttura, fornire la prova che la prestazione professionale sarebbe eseguita in modo idoneo e che quegli esiti peggiorativi sarebbero stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.

Questo principio, è stato rivisitato dalla giurisprudenza.

Cosa deve attualmente provare il paziente che si ritiene leso?

Dopo vari contrasti giurisprudenziali si ritiene attualmente che il paziente, che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario o della struttura, restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento.

Più precisamente, consistendo l’obbligazione professionale in un’obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile.

Può giocare un ruolo importante il consenso informato ai fini della esclusione della responsabilità medica?

In un caso ad esempio, si ha avuto a che fare con un accertamento giudiziario che aveva descritto la procedura chirurgica eseguita, l’approccio anestesiologico e tutte le possibili complicanze, divise in precoci e tardive, comprendenti sia gli esiti lievi che quelli gravi.

Tra questi anche quello del naso pinzato ossia naso troppo stretto. Inoltre era stata anche segnalata la possibilità di poter ricorrere a un intervento di revisione, si trattava infatti di atti chirurgici eseguiti sulle strutture osteocartilaginee e sul naso in particolare e quindi su una struttura estremamente vascolarizzata.

Per cui il risultato finale doveva essere sia funzionale sia estetico, risultati non garantibili mai al cento per cento, essendo questo in parte dipendente dalle capacità rigenerative tissutali individuali, dalla cicatrizzazione postoperatoria che può a volte alterare il risultato e da un eccessivo sanguinamene intraoperatorio che può ostacolare in certi casi notevolmente lo svolgimento di un gesto operatorio ottimale.

In tale caso è stato ritenuto dai periti in merito all’aspetto deontologico che non sussistevano carenze, posto che preliminarmente all’intervento, risultava somministrata adeguata informazione ai fini dell’assunzione di consenso mediante specifico modulo.

Certamente, quindi, il consenso informato svolge sempre un ruolo fondamentale ai fini della responsabilità medica ma è chiaro che non sarà mai sufficientemente valido alla esclusione completa della responsabilità medica.

Nel caso di cui stavamo parlando infatti, sempre i periti del Tribunale sottolineano come la paziente già nell’immediato post-operatorio notava una deformità del naso per poi sottoporsi successivamente ad esame TAC maxillofacciale da cui emergeva: “disallineamento e lieve affossamento delle ossa proprie del naso, da asportazione parziale del setto nasale e da affossamento della parete mediale del seno mascellare sinistro”.

Era così accertata la presenza di una asimmetria della punta e fu proposto un intervento correttivo che la paziente decideva di non eseguire.

Di conseguenza, pur se la paziente è stata adeguatamente informata circa le possibili complicanze, è evidente che l’intervento chirurgico effettuato non aveva prodotto i risultati sperati e seppur risoltosi il gibbo e la deviazione del setto persisteva una asimmetria della punta del naso.

Per tale motivo i consulenti hanno chiarito come tale condizione doveva ritenersi essere diretta conseguenza dell’operato medico operatorio del medico operante, il quale, per un verosimile errore materiale nell’esecuzione della tecnica chirurgica aveva provocato il pregiudizio estetico che allo stato residuava a causa della amputazione estesa della porzione anteriore delle ossa nasali che conferiscono un aspetto dismorfico delle stesse.

Chiaro è infatti, come è stato detto che certi interventi, come quello del caso esaminato, possono avere una finalità sia funzionale che estetica, e per tale motivo la conclusione non può essere che la configurazione di una responsabilità per inadempimento da parte del sanitario in quanto la prestazione chirurgica aveva provocato un esito disatteso non imputabile ad un evento imprevisto ed imprevedibile ma ad un verosimile errore materiale nella tecnica chirurgica.

L’evento imprevisto libera da responsabilità il medico e la struttura sanitaria?

Si può dire quindi, che nelle cause di responsabilità professionale del medico ovvero della struttura sanitaria deve ritenersi che il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario o della struttura, restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento.

Più precisamente, consistendo l’obbligazione professionale in un’obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile.

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