Diritto Penale

Diffamazione Online e Diffamazione su Facebook: Cosa si Rischia?

Qual è il giudice competente per il reato di diffamazione on-line.

Un caso di conflitto di competenza

La giurisprudenza prevalente, inquadra l’attività diffamatoria sulla cc.dd. bacheca di facebook nell’ipotesi delittuosa prevista e punita dall’art. 595 c.p. nella forma aggravata in quanto il social network viene considerato alla stregua di qualsiasi mezzo di pubblicità.

Orientamento, questo, che si è venuto a consolidare nel corso degli anni sebbene non siano mancate vicende in cui è stata sollevata la questione del conflitto di competenza ex art. 28 c.p.p. e demandata la soluzione alla Corte di Cassazione.

Un caso è stato risolto con un’autorevole pronuncia della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione la quale, con la sentenza n. 24431 – 8 giugno 2015 – ha stabilito che la competenza è del Tribunale locale in composizione monocratica tenuto conto che la diffamazione è aggravata ai sensi del terzo comma dell’art. 595 c.p.

La questione prendeva le mosse da una dichiarazione di incompetenza del Giudice di Pace innanzi al quale era stata incardinato il giudizio.

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Il Giudice onorario, ritenendo configurata la diffamazione aggravata e, quindi, un reato che non rientrava nelle propria competenza trasmetteva gli atti al Tribunale per la trattazione.

Tuttavia, il Giudice Monocratico si riteneva, altresì, incompetente sulla scorta del presupposto che la vicenda sottoposta alla sua attenzione configurava la fattispecie criminosa della diffamazione semplice e, pertanto, rimetteva gli atti alla Suprema Corte.

Attivazione della modalità privacy al proprio profilo facebook

Il Tribunale locale, in effetti, negava la sussistenza dell’aggravante prevista dal terzo comma della norma incriminatrice in quanto la diffusione incontrollata del commento diffamatorio tramite la rete è possibile soltanto nel caso in cui il destinatario delle offese non abbia predisposto il meccanismo della privacy rendendo pubblico la pagina facebook personale.

Scelta, dunque, che ricadeva sulla vittima della diffamazione.

L’Autorità giudicante non ravvedeva, nei fatti così come narrati dalla parte lesa, contestabile all’imputato la circostanza aggravante del mezzo di pubblicità così come richiesto affinchè possa ritenersi integrata l’ipotesi del terzo comma.

Inevitabile, quindi, il contrasto tra il Giudice di Pace e il Giudice Monocratico. A chi spetta, a questo punto, la competenza.

La Corte di Cassazione, interpellata per la risoluzione del caso di specie, si allinea alla interpretazione più accreditata secondo la quale “ i reati di ingiurie e di diffamazione possono essere commessi a mezzo internet e che tale ipotesi integrano l’ipotesi aggravata di cui al terzo comma dell’art. 595 c.p. “.

Ed ancora, gli ermellini, precisano che “ la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo per questo di una bacheca facebook ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone.”.

Per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone senza le quali la bacheca non avrebbe senso.

Questa idoneità del mezzo di mettere a conoscenza un numero non determinabile di persone di un post dal contenuto diffamatorio ai danni della vittima fa sì che, in tali casi, sia ipotizzabile la diffamazione nella sua forma aggravata.

Facebook: un metodo per socializzare

La Corte di Cassazione, nel suo provvedimento, ha messo in evidenza un aspetto per niente trascurabile ossia il ruolo dei social nella collettività.

Ed invero, i social sono divenuti, oramai, strumenti attraverso i quali le persone creano rapporti interpersonali che restano, nella maggior parte dei casi, probabilmente anche solo virtuali perché relazionarsi agli altri dietro lo schermo del personal computer verosimilmente è più facile.

L’uso di questi strumenti è sicuramente spropositato ma – di fatto – si può tranquillamente affermare che è considerato come un mezzo di socializzazione.

Facebook, un luogo virtuale

Uno spazio telematico di condivisione con un numero indefinito di persone o, comunque, apprezzabile in cui la bacheca del proprio profilo diventa come la pagina del quotidiano e, pertanto, le notizie pubblicate sono visibile a tutti.

Tuttavia non sempre i post attengono ad esperienze o sensazioni personali che in piena autonomia e libertà si decide di rendere note a coloro che accedono alla propria bacheca per il semplice piacere della condivisione.

Talvolta, la pagina facebook, viene utilizzata proprio al fine di screditare taluno mediante la pubblicazione di commenti offensivi della propria reputazione e della propria immagine.

Offendere la reputazione di qualcuno, durante una conversazione con altre persone, configura la fattispecie di reato della diffamazione e, laddove la condotta sia posta in essere attraverso il mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicità il delitto è aggravato. La piattaforma telematica viene considerata come un qualsiasi altro mezzo di pubblicità.

Il bene giuridico tutelato dalla ipotesi delittuosa della diffamazione

Il delitto di cui all’art. 595 c.p. è una fattispecie criminosa che rientra nel novero dei reati contro l’onore, previsti e tutelati dal nostro legislatore a tutela della reputazione che le persone hanno di ognuno di noi.

Può accadere, quindi, di essere vittima di un post diffamatorio e, in un lasso di tempo estramamente breve, tantissime persone vengono edotte degli insulti e le offese pubblicate nei nostri confronti e, per effetto, vediamo infangato il nostro buon nome.

Senza considerare che, in qualche caso, le informazioni pubblicate sono anche non veritiere per cui vediamo ingiustamente lesa la nostra immagine su un mezzo di comunicazione che, per la sua stessa natura, rende la notizia facilmente diffondibile ad un elevato numero di persone..

Il compito della Polizia Postale

In tali casi, si può procedere a sporgere querela nei confronti dell’autore dei commenti indesiderati e offensivi presso qualsiasi Comando delle Forze dell’Ordine e, in particolare, il Commissariato della Polizia di Stato – sezione Polizia Postale – specializzata nei reati commessi in rete.

A seguito della querela, colui che ha posto in essere l’attività diffamatoria rischia – sempre che ci siano i presupposti per l’esercizio dell’azione penale – di essere sottoposto ad un procedimento penale per il reato di diffamazione aggravata per il quale è prevista come sanzione la reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecento sedici euro.

Il giudizio verrà celebrato innanzi al Tribunale in composizione monocratica – come ribadito dalla Suprema Corte – salvo ipotesi in cui il delitto non risulta circostanziato dalle circostanze indicate nell’art. 595 c.p. al n. tre e al n. quattro la cui competenza è del Giudice di Pace.

La diffamazione semplice – oltre a dare luogo ad una diversa competenza rispetto all’Organo giudicante – prevede un trattamento sanzionatorio più lieve. Rispettivamente nella reclusione fino a un anno o la sanzione pecuniaria per un ammontare non superiore ai mille trecento due euro per l’ipotesi di cui al primo comma e per la successiva ipotesi con la reclusione fino a due anni oppure la multa fino a duemila senta cinque euro.

E’ auspicabile, pertanto, non solo di non trovarsi nella incresciosa circostanza di subire le offese tramite la piattaforma telematica ma anche di non essere artefici di una tale condotta delittuosa per il quale si rischia la reclusione. Qual è il giudice competente per il reato di diffamazione on-line.

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