Mancato Mantenimento dei Figli – art. 570 c.p. – Cosa Si Rischia?
Uno stato di indigenza, non sempre, esonera il genitore dagli obblighi di assistenza familiare
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Mancato mantenimento dei figli
Nel nostro sistema, è prevista una apposita norma che disciplina l’ipotesi in cui uno dei due genitori non provvede all’adempimento dei suoi obblighi, derivanti dalla responsabilità genitoriale verso la propria prole.
La norma in questione è l’art. 570 c.p. che al n. 2 prevede, il caso specifico, di chi non contribuisce all’assistenza materiale del proprio nucleo familiare, facendo mancare i mezzi di sostentamento ai discendenti, a coloro che non hanno raggiunto la maggiore età o inabili al lavoro, agli ascendenti ovvero all’ex coniuge.
L’ambito applicativo, infatti, si estende anche all’altro coniuge in quanto la disposizione codicistica tutela i rapporti all’interno del contesto familiare, imponendo obblighi precisi sia di natura morale e che di ordine materiale verso i figli e nei confronti della persona con la quale vi era, in precedenza, un rapporto di coniugio.
In questo caso, analizziamo gli obblighi verso i figli.
Talvolta il genitore non è in grado di fornire i necessari mezzi di sussistenza per cause che esulano dalla propria volontà. L’inadempimento è frutto di un disagio economico che, di fatto, impedisce di versare puntualmente l’assegno di mantenimento ovvero contribuire al pagamento delle spese familiari.
Tale questione è stata più volte portata all’attenzione della Suprema Corte atteso che – allorquando la violazione degli obblighi assistenziali di natura economica non è un comportamento voluto dal genitore – verrebbe a mancare il requisito soggettivo della volontà cosciente e consapevole del soggetto agente richiesto dalla norma incriminatrice ai fini della configurabilità del delitto in parola.
Naturalmente la circostanza di essere economicamente deboli non solleva sic et simpliciter il genitore dall’adempimento dei propri doveri e, pertanto, l’Autorità preposta al giudizio dovrà valutare il caso concreto.
La giurisprudenza, per la verità, non è univoca. Tanto è vero che non sono mancati casi in cui la sentenza di condanna emessa dal Primo giudice è stata messa in discussione in secondo grado e, per effetto, il soggetto agente – condannato in primo grado – viene successivamente assolto con formula piena.
La Corte di Piazza Cavour – con la sentenza n. 24532 emessa il 17 maggio 2017 – si è pronunciata su una questione di omesso mantenimento dei figli i cui contorni della vicenda risultavano, anche in questo caso, essere poco chiari e lineari.
Può essere ribaltata la sentenza di primo grado
La Corte di Appello, emetteva sentenza di assoluzione nei confronti dell’imputato ritenendo che il fatto, così come contestato, non costituisca ipotesi delittuosa diversamente da quanto aveva sostenuto il Tribunale locale, in composizione monocratica, che aveva ritenuto integrato il reato di cui all’art. 570 c.p.
Le ragioni per le quali la Corte mandava assolto l’imputato sono da rintracciare nella sua precaria situazione economica che non gli consentiva di provvedere al mantenimento dei figli.
L’unica sistemazione che era riuscito a garantire ai minori e alla sua ex moglie era stata quella presso la casa dei propri genitori e sostenere, insieme alla madre, le spese familiari.
Tra l’altro si era rifatto una altra vita, una nuova famiglia in cui vi era un altro figlio di cui si occupava.
Tutti questi elementi erano stati considerati a favore dell’imputato in quanto provavano un interesse verso i figli con i quali aveva, comunque, sempre avuto rapporti, provvedendo quantomeno al supporto morale altrettanto necessario lungo il percorso di crescita della prole.
E’ importante avere un rapporto personale con entrambi i genitori.
Il giudice valuta caso per caso
Per questo motivo, l’organo giudicante deve valutare il caso concreto ed analizzare sia il contributo morale del genitore nella crescita della prole sia l’adempimento degli obblighi di natura economica derivanti dai doveri genitoriali verso i propri figli.
I giudici di legittimità, non hanno messo in dubbio la partecipazione sul piano morale del genitore nella vita dei minori ma dalle risultanze probatorie era emerso che – di fatto – l’imputato non aveva erogato il mantenimento a carico dei figli per un lasso di tempo, di certo, non trascurabile.
Tuttavia, dalla ricostruzione della vicenda sottoposta al vaglio della Suprema Corte si evinceva che il prevenuto svolgesse un lavoro stagionale.
Ma, la Corte, ha ritenuto che le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa del genitore non dimostrano la sua incapacità di provvedere al pagamento delle spese necessarie per il soddisfacimento delle esigenze quotidiane del minore.
E, tra l’altro, di questa sua scarsa consistenza patrimoniale alcuna prova concreta era stata prodotta dall’imputato al fine di sgomberare il campo da qualsivoglia dubbio circa l’esistenza o meno di una effettiva situazione di indigenza economica che avrebbe potuto, eventualmente, esonerare il genitore da responsabilità di natura penale.
La Corte, infatti, ha statuito che “ in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il fatto che l’attività svolta dall’imputato abbia carattere stagionale non risulta da sola idonea a dimostrare la sua incapacità di adempiere, potendo al più giustificare versamenti limitati a determinati periodi dell’anno. Né valore probante può avere il richiamo alla sua situazione economica generale, trattandosi di dato generico.”
Il genitore è tenuto a fornire al proprio figlio tanto assistenza morale quanto la materiale di cui ha bisogno e – in casi di violazione di taluno di questi obblighi – si potrebbe configurare la fattispecie delittuosa prevista e punita dall’art. 570 c.p
Assistenza morale e materiale
Sotto il profilo squisitamente morale entrambe i genitori hanno il dovere di partecipare attivamente alla vita della prole, di offrire loro il proprio contributo per consentire lo sviluppo della personalità e della maturità psichica del minore. Hanno l’obbligo di assistere i propri figli, prendendosene cura finchè l’evoluzione del minore – da fanciullo a soggetto che abbia raggiunto la maturità psicofisica – non sia terminata.
Se i genitori si separano o termina la convivenza, il rapporto con i figli deve sempre proseguire anche nel caso in cui venga stabilita, dal Giudice, la permanenza presso uno dei due genitori al fine di mantenere inalterata la genitorialità di entrambi i genitori.
Accanto al supporto emotivo vi è quello economico consistente nel fornire ai figli i mezzi di sussistenza affinchè, questi ultimi, possano continuare ad avere un tenore di vita alla stregua di quello che avevano prima che il rapporto con l’altro coniuge venisse meno.
Il coniuge dovrà corrispondere l’assegno di mantenimento per i figli, nella misura stabilita in sede di separazione, di contribuire alle spese straordinarie quali quelle scolastiche o alle eventuali spese mediche oltre che garantire il soddisfacimento dei bisogni quotidiani della prole.
In altri termini, devono provvedere al sostentamento dei propri figli al fine di consentire loro di crescere in un ambiente normale e non subire il pregiudizio di avere un cotesto familiare in cui manca uno dei due genitori.
E tale obbligo non si estingue con il raggiungimento della maggiore età del proprio figlio in quanto il genitore è tenuto a provvedere al suo mantenimento finchè non abbia una situazione lavorativa stabile che gli consenta di avere una propria autonomia economica.
La tutela a favore dei minori e, più in generale, dei soggetti deboli – sebbene sia ampia nel nostro ordinamento giudiziario – credo effetti non sia mai sufficiente perché gli interessi da salvaguardare sono estremamente delicati.
Qual è la condanna per questi reati
L’art. 570 c.p. punisce in primo luogo il soggetto che abbandono il domicilio domestico, sottraendosi ai propri obblighi assistenziali. Le sanzioni previste per tale tipologia di reato sono la reclusione fino a un anno o la multa da cento tre euro a mille trenta due euro. Tali pene si applicano congiuntamente nei confronti di chi malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge ovvero fa mancare i mezzi di sussistenza ai propri discendenti, di età minore ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti e al coniuge a cui non sia addebitabile la separazione.
Per siffatta ipotesi di reato la procedibilità è di ufficio solo nel caso in cui il destinatario delle condotte violatrice degli obblighi assistenziali sia un soggetto che non abbia ancora raggiunto la maggiore età.
Violazioni in caso di separazione o scioglimento del matrimonio
Lo scorso anno, con il d. lgs 21/18 è stato introdotto l’art. 570 bis che prevede e tutela la violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio.
La norma statuisce che trovano applicazioni le sanzioni previste dall’art. 570 c.p. al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno a cui è tenuto a seguito della separazione, in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi o di affidamento condiviso.
La novella ha una connotazione essenzialmente economica ed è stata prevista e introdotta dal nostro legislatore al fine riordinare, in termini di sistematicità, la disciplina. Tanto è vero che presenta continuità strutturale rispetto agli artt. 12 della legge sul divorzio e 3 della L. n. 54/06 in materia di affidamento condiviso che ha abrogato ed è differente dalla fattispecie delittuosa prevista dall’art. 570 c.p.
Una norma, dunque, dalla portata innovativa sebbene presenti – secondo gli operatori del diritto – punti critici in quanto prevedendo espressamente il termine “coniuge” all’interno del dettato normativo impedisce l’applicazione della norma ai genitori che non hanno contratto matrimonio.
Si ritiene, pertanto, auspicabile un ulteriore intervento legislativo al fine di garantire una maggiore tutela ai propri discendenti, generalmente ai figli e, soprattutto, al genitore con il quale convivono perché – in effetti – sarà quest’ultimo a dover provvedere al mantenimento della prole in attesa di una sentenza di condanna in caso di inadempimento da parte dell’altro genitore.