Diritto Civile

Patti Preventivi alla Crisi Coniugale – Quando non sono validi?

SONO VALIDI GLI ACCORDI PREMATRIMONIALI CHE DISPONGONO DEI DIRITTI PATRIMONIALI DEI CONIUGI?

I recenti arresti giurisprudenziali hanno considerato nulli per illiceità della causa gli accordi preventivi tra i coniugi aventi ad oggetto l’assegno di divorzio, poiché, in violazione del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c., nonché, dell’indisponibilità del diritto del coniuge a richiedere l’assegno di divorzio. ( Cass. Civ. 2224 del 2017).

Patti Preventivi alla Crisi Coniugali – Quando non sono validi?

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A sostegno del proprio iter motivazionale, la Suprema Corte ha statuito che tali accordi sono invalidi non solo qualora questi escludono il diritto del coniuge economicamente più debole a soddisfare le proprie esigenze di vita, ma anche quando soddisfando le predette esigenze, per il rilievo di tale pattuizione, possano determinare il consenso alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Difatti, secondo la giurisprudenza maggioritaria l’invalidità di tale accordo risiederebbe nella preventiva regolamentazione dei diritti patrimoniali dei coniugi in virtù di un’eventuale crisi coniugale; sicché,  tali accordi potrebbero influenzare la volontà dei coniugi e conseguentemente si qualificherebbero come una  sorta di controprestazione derivante dallo scioglimento del consortium vitae.

La ratio dell’invalidità di tali patti preventivi risiede preliminarmente nel disposto normativo di cui all’art. 160 c.c., il quale sancisce espressamente l’indisponibilità dei diritti e dei doveri nascenti dal matrimonio”, pertanto, nel divieto de quo rientrano anche i diritti patrimoniali dei coniugi.

In senso parzialmente conforme alla suindicata sentenza,  la  Cassazione con la Sentenza del n. 23713 del 21.12.2012 ha statuito che l’accordo stipulato prima delle nozze, tra futuri coniugi, in forza del quale si prevede che la moglie cederà al marito un immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale, non configura un’ipotesi di accordo prematrimoniale nullo per illiceità della causa, tantomeno tale accordo si porrà in contrasto con  l’art 160 c.c.

In particolare, si tratta di negozio atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi , sicuramente diretto a realizzare interessi  meritevoli di tutela  ai sensi dell’art. 1322 c.c.; tale intesa consiste, infatti, in  una datio in solutum in cui l ‘impegno negoziale assunto è collegato alle spese affrontate e il fallimento del matrimonio non rappresenta la causa genetica dell’accordo, ma è degradato a mero evento condizionale.

Nella specie, la Cassazione ha escluso che l’accordo concluso dai nubendi prima del matrimonio, con il quale si prevede che la moglie, in caso di fallimento del matrimonio, ceda al marito un immobile di sua proprietà da adibirsi a casa coniugale e al relativo saldo il marito trasferirà alla moglie un titolo BOT.

(Nella specie il trasferimento dell’immobile si qualificava come indennizzo delle spese sostenute dello stesso per la ristrutturazione di altro immobile pure di proprietà).

Nello specifico, la pattuizione suindicata configura una datio in solutum , vale a dire che la causa negoziale è strettamente collegata alle spese di ristrutturazione di un immobile, pertanto, in quest’ottica il divorzio viene qualificato come evento sospensivo dell’efficacia dell’accordo.

Tanto premesso, il contratto sarebbe invalido solo qualora lo scioglimento del matrimonio si qualificasse quale vizio genetico dello stesso, potendo assumere quale forma dissuasiva e condizionare il consenso dei coniugi al divorzio.

Nell’iter logico motivazionale, la Corte di legittimità si è preoccupata di valutare la compatibilità dell’accordo medesimo sia con l’art. 160 c.c. che con i principi di ordine pubblico

Per la Cassazione non vi è incompatibilità dell’accordo con l’art. 160 c.c., poiché in costanza di matrimonio opera un dovere reciproco di contribuzione ex art. 149 c.c., né si ravvisa un’incompatibilità con le norme di ordine pubblico, non essendo presenti nell’ordinamento principi che vietino ai coniugi di mantenere un equilibrio economico di contribuzione reciproca.

La suindicata sentenza ha riconosciuto, pertanto, la validità di quegli accordi che abbiano contenuto patrimoniale, purché lo scioglimento del matrimonio non si configuri come causa genetica dell’accordo ma quale mero evento condizionale, continuando a stigmatizzare quegli accordi invece che potrebbero incidere sulla cd immodificabilità di status.

.Tale pronuncia non è esaustiva sul piano argomentativo perché non si comprende il motivo per cui si possa salvare il negozio, regolante interessi delle parti, che ponga il divorzio come mero evento condizionale, mentre, parimenti, lo stesso negozio sarebbe affetto da nullità se invece lo scioglimento del vincolo coniugale si configurasse come elemento essenziale del contratto stesso.

Sempre in senso conforme con i suddetti assunti giurisprudenziali, la Suprema Corte ha ritenuto valida la pattuizione intervenuta tra i coniugi in vista della separazione consensuale, con la quale l’uno si impegnava a trasferire all’altro determinati beni immobili, in quanto non peggiorativa degli accordi omologati in relazione all’affidamento dei figli minori. (Cass. sez. I, 8 novembre 2006 n. 2380).

Dello stesso avviso è la pronuncia n. 2036 del 2018, nella quale la Corte di Cassazione ha ribadito l’autonomia negoziale dei coniugi in sede di crisi coniugale, potendo gli stessi coniugi disciplinare diritti di natura patrimoniale.

Allo stesso modo, la Corte nella predetta pronuncia ha ribadito la natura vincolante dello stesso accordo a ciò che ne forma oggetto.

Per quale motivo l’accordo preventivo che dispone la corresponsione in un’unica soluzione dell’assegno di divorzio è invalido?

La riforma del 1987 ha modificato la disciplina sull’assegno di divorzio così come disposta dalla l 898 del 1970, secondo il suo assetto normativo originario, l’assegno di divorzio aveva una triplice funzione: assistenziale, risarcitoria e compensativa, in base all’apporto che ciascun coniuge ha reso in sede di vita matrimoniale.

Nell’attuale quadro normativo di cui all’art. 5 della l 898 del 1970, presupposto indefettibile per ottenere l’emolumento è che il coniuge beneficiario non disponga di mezzi adeguati o che non possa procuraseli per ragioni oggettive , laddove gli ulteriori criteri costituiti dalle condizioni ,dal reddito dei coniugi, dalle ragioni della decisione e dall’apporto alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio  individuale, nonché, della durata del matrimonio, concorrono alla quantificazione dell’assegno non incidono sull’an debeatur.

Conseguentemente, l’assegno divorzile assume natura assistenziale alla stregua dei doveri di assistenza post-coniugale, in conformità ai principi costituzionali di cui all’art. 2 Cost. , impedendo ai coniugi di disporre di tale diritto in via preventiva con un accordo che ha come causa genetica lo scioglimento del vincolo matrimoniale.

Fermo restando che, anche se la L n.898/1970 articolo 5, comma 8, prevede che la corresponsione dell’assegno divorzile possa avvenire “una tantum”, ove ritenuta equa dal Tribunale, senza che si possa in tal caso proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico, non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati “secundum ius”, non possono implicare rinuncia all’assegno divorzile.

Pertanto, il legislatore pur riconoscendo l’autonomia negoziale delle parti nella possibilità di poter predisporre un accordo che preveda la corresponsione in un’unica soluzione dell’assegno di divorzio, tale accordo necessita sempre di un avvallo giurisdizionale.

Conseguentemente, pur riconoscendo la validità della corresponsione “una tantum” dell’assegno di divorzio, si esclude come tali accordi possano non solo rilevare come rinuncia all’assegno di divorzio, ma che tali accordi possano essere adottati al di fuori del giudizio di divorzio o di separazione e quindi al di fuori di una verifica di natura giudiziale.

Quali sono i rilievi critici in tema di accordi pre-crisi?

La dottrina, ormai dominate, riconosce la validità di tali accordi in netto contrasto con quella concezione pubblicista del matrimonio tesa a salvaguardare l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

Pertanto, risulta ingiustificato l’ostinarsi a considerare la “libertà di difendersi nel giudizio di divorzio”, come libertà connessa ad un potere che non esiste, poiché l’opposizione al divorzio è causa persa in partenza, in virtù della posizione di soggezione in cui si viene a trovarsi il coniuge nei confronti dell’altro coniuge.

Oltretutto, la decisione di divorzio non ha valenza ultrattiva, vale a dire rimessa alla volontà di un terzo estraneo per tutelare un interesse pubblico superiore, ma è sempre rimessa alla volontà dei coniugi.

Inoltre, si rende, altresì, necessario guardare sia al contesto storico dell’art. 160 c.c. sia a quello topografico, considerando che la sua collocazione nelle disposizioni codicistiche fa riferimento ai rapporti patrimoniali dei coniugi durante il matrimonio, quindi esula dal campo di applicazione della fase patologica del vincolo medesimo.

Come evidenziato in dottrina, lo stesso termine adottato “sposi”, anziché “coniugi” depone per una lettura della disposizione riferita a quei diritti e doveri che si prestano a chi sta per iniziare la propria vita di coppia e non certo a chi si appresta a scriverne l’epitaffio.

Tali argomentazioni critiche troverebbero, altresì, riscontro dall’ introduzione del procedimento speciale dell’art. 4 della L 898/70, il quale prevede il procedimento di divorzio congiunto.

Difatti, risulta contraddittorio da una parte tutelare lo status personale di coniuge da accordi a contenuto patrimoniale che possano facilitarne il consenso allo scioglimento del vincolo medesimo, mentre, per contro,  dall’altro lo stesso legislatore avrebbe consentito l’introduzione del divorzio congiunto.

Infatti, comunque nel divorzio congiunto gli assetti economici dei coniugi vengono decisi preventivamente, con accordi adottati prima della sentenza del Tribunale dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Inoltre, è pacifico il richiamo ai principi di correttezza e di buna fede contrattuale, soprattutto nel diritto di famiglia, ove le parti dopo mesi di trattative complesse riescono a trovare un accordo risolutorio al complesso dei rapporti nati dall’unione sbagliata”

Pertanto, secondo una parte della dottrina dominante è necessario un intervento legislativo che renda ammissibili i “patti preventivi della crisi matrimoniale”, anzi, di un intervento legislativo che renda riconoscibili tali accordi già ammessi dalle disposizioni normative vigenti.

Per le ragioni suesposte è stata presentata una proposta di legge in data 15.10.2015 alla Camera dei deputati, concernente “modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali”, che consentirebbe ai coniugi di gestire anticipatamente e consensualmente i propri rapporti patrimoniali in relazione ad una futura crisi coniugale, in conformità a quanto previsto nei Paesi del Common Law su i “prenuptial agreement”.

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