Diritto di Famiglia

Affidamento dei Figli Minori ai Servizi Sociali

Ritornando in tema di distonìe di rapporti familiari nel caso in cui la coppia genitoriale viva un periodo di forte criticità e compromissione dei normali equilibri endo-familiari negli ultimi anni, complice crisi economica e crisi de relato sociale e culturale, si assiste all’emissione di provvedimenti da parte dei Tribunali (talvolta urgenti seppur di natura provvisoria sotto aspetto cd “di durata”) che dispongono l’affidamento di minori al Servizio Sociale.

Affidamento dei Figli Minori ai Servizi Sociali

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Non è prevista un’età minima del minore nè sono in realtà indicate nel riferimento normativo modalità tassative delle condotte sottese a detta decisione; certamente al limite e da interpretare come sostegno e controllo della vita del minore stesso e, de relato, del nucleo familiare in difficoltà.

L’istituto con previsioni ben circostanziate affonda le sue radici nella Legge N. 888/1956; in quanto tale modifica al R.D.L. del 1934 istitutivo del Tribunale dei Minori (Legge minorile).

A’ sensi e per gli effetti di cui all’art. 25 Legge minorile pertanto il procedimento per l’affidamento al servizio sociale si instaura a seguito della segnalazione del minore al Tribunale per i Minorenni da parte del Pubblico Ministero minorile ovvero da parte dei genitori medesimi o dell’Ufficio Sociale comunale; talvolta da parte dell’Istituto scolastico che il minore frequenta.

Da qui inizio delle indagini sulla personalità del minore all’esito delle quali potrà essere disposto con decreto l’affidamento del minore al Servizio Sociale con o senza collocamento in Comunità.

Successivamente vi sarà trafila di prassi: convocazione del minore con rappresentante del Servizio Sociale con prescrizioni da seguire per supporto ad istruzione formazione professionale.

Gli operatori del Servizio Sociale effettuano monitoraggio controllando la condotta del minore riferendo periodicamente al Tribunale e proponendo, di conseguenza, la modifica delle prescrizioni in senso restrittivo o domandandone, dopo un lasso di tempo significativo alla risoluzione delle criticità, eventuale cessazione.

A seguito di tale misura la potestà genitoriale viene condizionata e “compressa”. Il controllo da parte degli Assistenti Sociali vedrà interventi su scuola, percorso formativo ed educativo; continuando a dover i genitori provvedere al mantenimento del figlio.

Ratio primaria dell’istituto è ovviamente quella di proteggere il minore da comportamenti di trascuratezza, maltrattamenti, sevizie o violenze poste in essere anche dagli stessi genitori – incapaci di trovar consapevolezza e soluzione al problema per le più svariate cause – ovvero da terzi.

I provvedimenti (tra quali quelli cd “ablativi” della patria potestà) vengono utilizzati frequentemente nei procedimenti appunto detti de potestate relativi a minori alla stregua dell’art. 333 codice civile e seguenti; quando cioè la condotta di uno o di entrambi i genitori non sia tale da offrire la pronuncia di decadenza prevista dall’art. 330 codice civile apparendo nel caso di specie, comunque, pregiudizievole al figlio.

Detto procedimento, quindi, facile si intuisca venga in essere spesso nell’ambìto di cause di separazione e divorzi contraddistinte da animosità, litigiosità ovvero da condotte e comportamenti al limite; laddove si possano, e la cronaca non difetta certo di campionario in punto, delineare violenze, vessazioni psicologiche, stati di abbandono morale e materiale.

Inidoneità, in ampia accezione, a sostenere compiutamente il ruolo genitoriale.

Spesso si vede peraltro negli atti di causa, leggendo verbali e relazioni periodiche posta in essere dai SS (Servizi Sociali), come la tematica ed il concreto svolgimento del compito – di tutt’altro che semplice espletamento – siano pervasi da un sottofondo di mandato generico di ostica comprensione; nel senso che talvolta pare difficile, soprattutto in contesti oltremodo particolari e poco distesi, scindere i poteri attribuiti ai SS da quelli in via residuale rimasti in capo ai genitori.

La provvisorietà iniziale spesso diventa regola; tant’è che si assiste ad affidamenti di tal fatta che persistono alla fine anche per diversi anni.

L’affidamento ha quindi trovato in tempi recenti differente ratio e significato; ciò in quanto tale istituto, nato come procedimento e prassi di natura “rieducativa” da devianze giovanili, viene in oggi a contrario concepito come controllo e monitoraggio qualificato di situazioni di crisi familiare e relazionale di svariata eziologia.

Obiettivamente non v’è chi non veda come in dette situazioni e contesti subentrino problematiche delicate di varia natura: psicologica, emotiva, legale, rieducativa ed assistenziale.

Inutile poi negare tali tematiche siano strettamente correlate ad esempio a dipendenze varie ovvero atteggiamenti auto-lesionistici posti in essere dai genitori ed, in quanto tali, incompatibili (anche se talvolta per un determinato lasso di tempo ) con il ruolo di educazione, accudimento ed autorevolezza richiesto.

Casi concreti di affidamento dei figli ai servizi sociali

Corte d’Appello di Venezia – su ricorso presentato avverso decisione del Tribunale civile di Vicenza si stabiliva con decreto la possibilità di ricorrere in Cassazione – ex art. 111 – in merito a provvedimento del Tribunale che, in situazione di acceso conflitto genitoriale, disponeva l’affidamento del minore ai Servizi Sociali con temporaneo collocamento presso altra famiglia.

Al di là dei tecnicismi procedurali la decisione è importante per alcuni risvolti pratici; nel senso che si stabilisce che in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e loro mantenimento (soprattutto dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. N. 154/2013 con abolizione di qualsivoglia distinzione ) i provvedimenti a ciò sottesi siano di natura decisoria, cioè risolutivi di contrapposte pretese di diritto soggettivo, e definitivi, cioè con efficacia assimilabile a quella del giudicato (tra tutte Cassazione Civile N. 6132/2015 e N. 3192/2017).

Da ciò consegue pertanto che a seguito di un’evoluzione della giurisprudenza dei Tribunali si assiste in oggi ad una ricorribilità avverso tali provvedimenti quando non interlocutori o aventi soltanto efficacia provvisoria ed endoprocessuale.

Sotto profilo di significato il provvedimento di tal fatta emesso dal Giudice, e cioè collocamento extra- familiare con affidamento del minore ai SS, ha evidentemente la finalità di ricostituire, se possibile, un rinnovato contesto relazionale con tentativo di ripristino delle condizioni di bigenitorialità allo stato compromesse; tutelando nel modo più incisivo e pragmatico possibile il minore.

Da qui, pertanto, prescrizioni per lo più puntuali ed immediate tali da vedere in primis i SS quali supplenti e garanti del reale percorso terapeutico dettato nei confronti degli stessi genitori; visite e colloqui “protetti” costruiti ed organizzati in modo da poter superare il conflitto di coppia ed un’auspicabile corretta instaurazione di una relazione affettiva e di dialogo con il minore. In un nuovo e difficile “specchio” di rapporti, seppur quale ex coppia, quantomeno civili e da poter offrire al figlio nell’età evolutiva.

A corollario.

La Legge N. 54/2006 tendeva in via incidentale a riconoscere ed assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati in costanza di matrimonio; il successivo D. Lgs. N. 154/2013 ha abolito di fatto qualsivoglia distinzione ancora in essere in punto.

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