attività istruttoria tributaria
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ISTRUTTORIA AMMINISTRATIVA TRIBUTARIA E CONTRIBUENTE
CONTRADDITTORIO EFFETTIVO O SOLO SULLA CARTA?
Pur non potendo che essere di ausilio con modalità generiche considerando farraginosità e sedimentazione di disciplina tributaria/amministrativa in materia certamente ogni cittadino (quindi di fatto in via deduttiva ogni contribuente) fatica non poco ad instaurare un vero e proprio rapporto di corretto e chiaro contraddittorio con gli Uffici Finanziari. Ognuno, per propria esperienza personale ovvero professionale, tende a mutuare dal proprio vissuto sensazioni e disavventure. Spesso terminate da verbali incomprensibili ai più e dal desiderio di trovarsi in paesi con fiscalità almeno un po’ più semplice e meno afflittiva.
Dovendo tuttavia equipaggiarsi per ogni evenienza ecco che sarà utile offrire , anche in via generale e per lo più schematica essendo impossibile disamina di tutte le possibili situazioni a paradigma, cenni sul dibattito e la prassi – e quindi la funzione in quanto tale – della c.d. “istruttoria amministrativa tributaria” . Da qui , insomma, cercare di capire il rapporto esistente – e non sempre di facile lettura – tra istruttoria processuale tributaria ed acquisizione delle prove.
Sia pure con qualche dissonante pronuncia è ormai concorde la circostanza che le molteplici – e talvolta invasive – attività conoscitive e di controllo comunemente chiamate “attività istruttoria” devono considerarsi dotate di una propria autonomia funzionale rispetto all’attività di accertamento vero e proprio. Non più quindi, come ritenuto sino a qualche anno fa, mere fasi interne di un generale procedimento amministrativo di imposizione da parte degli Uffici Finanziari.
Quindi, stando così le più acclarate interpretazioni, da ciò discende che le stesse si esplicitino in distinti ed autonomi procedimenti i quali, a loro volta, possono essere preliminari ovvero prodromici all’accertamento vero e proprio.
Questo sia per un sostanziale senso di economia processuale sia per l’evidente necessità di adeguare la difficile e molteplice normativa – dettata “strati normativi spesso concentrici “ – alla progressive e comunque inarrestabile evoluzione del sistema tributario verso modelli, almeno sulla carta, meno afflittivi e più partecipativi.
In quest’ottica pertanto si delinea un quadro in continua evoluzione sotteso a:
- Consentire e promuovere le situazioni soggettive passive dei contribuenti tali da frazionare le stesse in tanti e speculari distinti obblighi legali. Ad esempio quelli , oramai divenuta prassi, di autotassazione, autoliquidazione e versamento “spontaneo” tramite delega – in oggi per lo più telematica – all’Istituto di Credito;
- Prender atto che, in via di logica conseguenza al punto precedente, le situazioni attive dell’Erario si risolvono di solito nell’esercizio di un potere con imperatività/normatività Cioè tale da non andar spesso oltre l’acquisizione delle informazioni presso banche dati od Intermediari ed allo sterile controllo dell’osservanza dei suddetti obblighi strumentali dei contribuenti.
Quindi la cd fase di controllo ai danni di quelli cd di accertamento è in particolare la diretta conseguenza di un’evoluzione sia legislativa sia di adempimenti volti a pseudo collaborazione e responsabilizzazione dei contribuenti. Collaborazione che, si spera, non conduca con automatismi sempre e comunque verso attività ex post di accertamento. Al riguardo utile ricordare che:
- La dichiarazione dei redditi è stata resa ormai pressoché rettificabile ovvero integrabile direttamente dallo stesso contribuente. In aumento ed in diminuzione di imposta con applicazioni di sanzioni ridotte e possibilità di ravvedimento operoso;
- La stessa dichiarazione si considera dagli uffici validamente presentata, anche se non sottoscritta, purchè il contribuente nel caso di richiesta espressa si rechi presso l’ Ufficio per apporre formalità in calce al modello stesso presentato in termini;
- L’uso pressoché richiesto ex lege dello strumento telematico comporta un controllo di fatto in tempi reali da parte dello stesso contribuente . Lo stesso per errori materiali rilevati e segnalati così come altri discrasie; con conseguente riduzione almeno sulla carta dell’attività di liquidazione coatta da parte dell’Ufficio;
- E’ comunque previsto controllo da parte dell’Ufficio volto a valutare, prima dell’emissione dell’ eventuale avviso di accertamento, le deduzioni presentate dal contribuente dopo il processo verbale di constatazione in ordine a quanto nel medesimo contenuto. All’uopo la stessa Corte di Cassazione nelle celeberrima pronuncia N. 21253/2008 sembra rendere in via interpretativa ancora più pregnante tale obbligo comunque subordinando, in via pratica, la legittimità di eventuale accertamento posteriore alla circostanza precisa che questo scaturisca solo da un processo verbale sottoscritto dal contribuente ovvero, ad ogni modo, da attività istruttorie alle quali quest’ultimo ha effettivamente preso parte;
- Dovrebbero essere indicate dall’ Ufficio – a pena di nullità – le ragioni e motivazioni per cui si disattendono le deduzioni del contribuente in merito all’atto di contestazione delle sanzioni;
- Il contraddittorio – anche solo mediante una sorta di collaborazione indotta – dovrebbe essere effettivo e costruttivo. Nel senso che la fase istruttoria , attraverso la moltiplicazione delle occasioni di dialogo e/o chiarimento , dovrebbe poter far addivenire ad una sorta di compromesso tra contribuente ed Ufficio. A tal proposito la giurisprudenza ammette e precisa , per orientamento pressoché univoco, che ad esempio nel controllo delle attività sottese a quadratura degli Studi di Settore , ai fini dell’accertamento ex post, si dovrebbe poter configurare integrazione con validi e pertinenti riscontri o con qualche forma di In alcune pronunce la Suprema Corte ha infatti persino ammesso la possibilità di “saltare” in via interpretativa la successiva fase amministrativa di potenziale accertamento laddove vi possa essere opportunità per il contribuente di investire – preventivamente – il Giudice tributario senza la necessaria emissione di un atto autoritativo impugnabile. Atto dagli effetti di pseudo accertamento negativo giurisdizionale dell’obbligazione tributaria.
Ci si riferisce in punto alle pronunce che hanno statuito essere tra gli atti in realtà impugnabili le “comunicazioni” ovvero gli “avvisi bonari” nonché a quelle che, sulla base dell’affermata unitarietà ed univocità dell’accertamento in merito a compagine di società di persone e dei soci poiché ritenute le posizioni inscindibili, ravvisano litisconsorzio necessario (ergo nessuno si può esimere dal comparire in procedimento) anche se alcuni non abbiano potuto o voluto impugnare l’atto di accertamento medesimo;
- Lo strumento dell’interpello dovrebbe poter rendere idea in accezione giuridica sul parere in punto dell’Amministrazione finanziaria in funzione ex ante e non ex post repressiva;
- Il contribuente può, comunque, spesso avere la facoltà e la possibilità di concludere forme di accordo con gli Uffici; aderendo agli atti di accertamento o, prima che questi siano emessi, agli stessi processi verbali di constatazione.
In questa obiettiva situazione quindi è evidente l’importanza della cd fase di controllo; ciò indipendentemente dalla successiva o contestuale attività di accertamento. Svincolare in via di fatto l’attività da quella vera e propria dell’accertamento, tuttavia, serve in via di principio a potenziare la partecipazione del contribuente – si spera con modalità corrette e trasparenti – nonché a valorizzare l’imparzialità dell’attività amministrativa di cui si controverte.
Orbene la logica del “risultato di servizio ad ogni costo” – ergo sempre e comunque prospettare pagamento di imposte evase che talvolta pervade atteggiamento degli Uffici in funzione dell’obiettivo di recupero di gettito – non sempre sembra compatibile e condivisibile se svolta senza un tranciante principio di equilibrio, concretezza ed imparzialità.
Gli addetti ai lavori sanno bene quanto e come sia talvolta ostico e difficile far sì che le rispettive prospettazioni possano avere , appunto, disamina obiettiva qualora il terzo organo di controllo (ad esempio in sede di Riesame interno ovvero Capo Uffici Struttura) siano longa manus dell’ Ufficio accertatore e non un terzo soggetto super partes qualificato in quanto tale. Che l’azione amministrativa di accertamento debba essere efficiente non pare contestabile, tuttavia occorre ad avviso degli operatori del diritto – e quindi di rimando ai comuni cittadini – intendersi e modulare il significato di “corretta efficienza”; con ciò tenendo presente che in ambito pubblicistico essa non è un valore in assoluto e comunque sempre da perseguire, ma deve necessariamente rapportarsi con altri valori costituzionalmente garantiti quali la personale capacità contributiva e l’imparzialità/equità. Soprattutto il dato par incontrovertibile in periodi quali quello attuale.
Se si accetta l’indicata impostazione di fondo e di metodica, allora, si comprende come la nozione di istruttoria procedimentale sia ampia e profonda sino a comprendere attività conoscitive che divengono , esse stesse, più autonomi procedimenti; tanti quanti sono, in concreto, i poteri di vigilanza e di ispezione consentiti ex lege.
Sembra quindi evidente il poter discutere di una sempre più distinta funzione di controllo e conoscitiva attribuita all’amministrazione finanziaria per lo più caratteristica dei cd “sistemi fiscali di massa”. Di una funzione cioè diretta a conoscenze e dati rilevanti in nome di un vantato interesse pubblico alla vigilanza e recupero delle imposte concretamente o meno ritenute evase; ciò attraverso un capillare controllo – in via incrociata – delle attività economiche svolte dai contribuenti e dai terzi obbligati. Si può quindi in via discorsiva assumere che tutto ciò si persegua preferibilmente confidando su una coscienza di fedele adempimento tributario da parte del contribuente; in realtà si assiste spesso in vari step delle vertenze ad un granitico scopo quale essere quello del recupero e della repressione dell’evasione.
La giurisdizione al riguardo dovrebbe esser ripartita , in un ideale suddivisione, tra giudice ordinario e giudice amministrativo a seconda che si faccia valere – come noto – rispettivamente un diritto soggettivo (ad esempio in materia accessi o ispezioni eseguiti senza il necessario provvedimento autorizzatorio) o un interesse legittimo . Trattandosi di questioni attinenti evidentemente a libertà e diritti individuali o a vizi del potere di controllo che emergono in nuce al procedimento amministrativo di accertamento in quanto tale impugnabile ecco che andrebbe di fatto esclusa la possibilità, come spesso avviene, di domandar tutela solo dinnanzi al Giudice tributario.
Sul piano legislativo conferma il tutto l’art. 7 comma 4 della legge N. 212 del 2000; in quanto ivi si legge che “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa quando ne ricorrano in concreto i presupposti”. Sul piano giurisprudenziale , soprattutto alcune sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo causa N. 18497/03 del 2008 e causa N. 18603/04 del 2008 rilevano la necessità di inviolabilità del domicilio e di rispetto dei luoghi di residenza e dimora del contribuente in costanza di indagini e controlli finalizzati a verifiche di natura tributaria.
ACQUISIZIONE DELLE PROVE
Alla stregua di quanto sin qui dedotto quindi, ed in armonia con l’interpretazione ricorrente, ecco che la modifica alla legge N. 214 del 1990 , apportata dall’art. 6 co. 1 lette. E) della legge N. 15 del 2005 , va in questa direzione. Ivi si dispone che “l’organo competente per l’adozione del provvedimento formale, se diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone tassativamente la motivazione nel provvedimento finale”.
Ergo in conclusione il fatto che l’indicazione degli elementi probatori nella motivazione presupponga normalmente lo svolgimento di una distinta , ma pur sempre correlata attività di controllo ferma e comunque diretta all’acquisizione della prova (come ad esempio nel caso in cui la prova sia documentale acquisite oppure su argomentazioni induttive quali le cd percentuali di ricarico) non esime l’Ufficio dal riferimento dell’attività ex ante compiuta nella fase preparatoria. Ancor più nella prassi in oggi ricorrente tale da fondare avvisi di accertamento di maggior valore sulla cd stima UTE ovvero nel caso di avvisi inerenti imposte sui redditi e sull’Iva emessi sulla base di “non prove” ; cioè di fatto sulla base di giudizi/valutazioni logiche o di congegni presuntivi più o meno automatici quali gli Studi di settore , i coefficienti ed altri parametri di natura statistica. Quindi in tali casi, frequenti nella pratica e tali da rendere oltremodo ostiche argomentazioni a contrario ed a difesa, sarà proprio la motivazione del provvedimento e la terminologia scritta in essa a rappresentare un possibile “filtro” attraverso il quale far passare disamina degli elementi probatori e fattuali della fattispecie.
Ragionando su tali assunti nella regola interpretativa spesso si dissente, nonostante parecchie difficoltà, da alcuni orientamenti espressi dalla Corte di Cassazione. Giudice secondo il quale in talune sentenze , a contrario, la prova può essere enunciata e fornita per la prima volta nel processo tributario. Il dato non è di poco conto e di fatto , alla fine, il dato crea distonie contra contribuente. Da qui contrasto giurisprudenziale, tuttavia, che parte da differenti letture della stessa ratio dell’accertamento per poi, in pratica, divenire accettazione e metodiche da parte degli Uffici fiscali.
Nel concreto la linea di evoluzione della legislazione tributaria , nel senso dell’obbligatoria indicazione in motivazione degli elementi probatori tout court, è ad esempio testimoniata dal fatto che la disciplina IVA – a contrario di altre sulle Imposte sui redditi e di Registro – anticipa la rammentata norma dell’art. 3 Legge N. 214/1990 richiedendo cioè espressamente (art, 56 co. 2 DPR N. 633/1974) l’indicazione nella motivazione , insieme ad eventuali errori e/o omissioni e/o false o inesatte indicazioni su cui è fondata l’apportata rettifica, anche i relativi elementi probatori; cioè vale a dire elementi che lo stesso art. 3 enuncerà “risultanze probatorie”.
Prevedendo espressamente all’art. 16 D. lgs N. 472/1997 l’obbligo tassativo per lo stesso Ufficio di menzionare “elementi probatori” nell’atto di contestazione delle sanzioni e comminando, di seguito, la sanzione grave della nullità in caso di inosservanza e difetto del precetto ex lege.
Seguendo tale filo logico ed in via pragmatica il tutto si riscontra nella disposizione di cui all’at. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge N. 212 del 2000) volta a delimitare il contenuto della motivazione. Par chiaro come il dettato legislativo sia sotteso a meglio definire i contorni del termine prova: esigenza di tutela del diritto di difesa del contribuente, stretto rapporto di correlazione tra la prova medesima e la motivazione .
Nella pratica esiste di fatto una distinzione tra prova nella fase accertativa (in riferimento pertanto alla motivazione) e prova nella fase di dimostrazione della stessa (in riferimento pertanto al processo).
Detta distinzione è resa necessaria dalla circostanza che il lessico specifico, diversamente da quello di altri Paesi, parla di “prova” per indicare fenomeni tra loro differenti e diversi. Si vede chiaramente dicotomia tra prova quale elemento conoscitivo e giustificativo dalla prova quale elemento dimostrativo.
E da qui, in via deduttiva, il tutto serve a domandare se le prove debbano essere indicate nell’accertamento tributario oppure no. Si propende quindi per rispondere in senso affermativo ritenendo che il passaggio costituisca tassello indispensabile seguendo il quale l’ Ufficio dovrebbe dare in ogni caso contezza nella ricostruzione degli enunciato di fatto e diritto forniti in contrapposizione alla linea difensiva assunta dal contribuente.
Infatti frequente il caso in cui in sede processuale , a seguito dell’impugnativa dell’atto di accertamento da parte del contribuente, la dimostrazione della pretesa non possa essere raggiunta poiché gracile ed inconferente.
Non vi è peraltro dubbio che a tutt’oggi, nonostante aggiustamenti di interpretazione ed espansione del sistema tributario verso forme di contraddittorio e partecipazione , l’istruttoria procedimentale sia retta ancora da un principio per lo più inquisitorio con l’Amministrazione in primis protagonista ed il contribuente, spesso , come comparsa in sottofondo. Le deduzioni, le osservazioni e di rilievi in seno a verifiche fiscali rappresentano ancora, purtroppo, spesso solo un minimo spazio concesso ad un soggetto considerato di fatto “colpevole” ed obbligato a collaborare anche talvolta suo malgrado; questa l’amara constatazione di un sistema complesso ed articolato in ogni sua vertenza.
CENNO SU RISCOSSIONE ACCERTAMENTO E PASSIVO FALLIMENTARE
Come per i crediti di natura privatistica vantati nei confronti dell’imprenditore fallito anche per i crediti tributari la partecipazione alla procedura concorsuale è condizionata in oggi alla presentazione di un’apposita istanza di insinuazione al passivo ed all’espletamento del procedimento di accertamento e verifica del credito medesimo. Quindi se la pretesa creditoria del Fisco debba essere riscossa nei confronti di un soggetto/imprenditore fallito le tradizionali prerogative degli Uffici finanziari , finalizzate a tutelare l’interesse pubblico alla sicura riscossione dei tributi, vengono stemperate nel rispetto del principio a cui è sottesa la procedura concorsuale ovvero la par condicio creditorum.
Non basta quindi lo svolgimento di un controllo formale ovvero sostanziale da cui emerga l’imposta dovuta per ritenere ammissibile un’istanza di insinuazione al passivo della procedura fallimentare il credito, ma è indispensabile secondo prassi ed interpretazione prevalente che l’Ufficio impositore concluda l’attività amministrativa finalizzata a formalizzare l’esistenza del proprio credito con l’emanazione di un provvedimento avente efficacia esecutiva qual è, per l’appunto, l’iscrizione a ruolo.
Detta argomentazione , tuttavia, ha visto una duplicazione di procedura con l’entrata in vigore del D.L. N. 78/2010 finalizzato, come ormai noto, a concentrare la riscossione nell’accertamento. Comportando l’innovazione legislativa, di fatto ed in parecchie ipotesi, la soppressione dell’iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento con riguardo alla riscossione delle somme dovute sulla base di avvisi di accertamento relativi ad Imposte sui redditi, all’IVA nonché dei provvedimenti di irrogazione delle sanzioni. Con ciò questi ultimi atti, infatti, avendo efficacia esecutiva contenendo l’intimazione ad adempiere entro i termini previsti per la presentazione del ricorso.
La qualifica di “titolo esecutivo” tuttavia dei predetti atti non è comunque immediata, ma risulta subordinata al decorso del termine di giorni 60 dalla notifica al contribuente. In deroga alla procedura di iscrizione a ruolo, pertanto, l’Ufficio provvede ad affidare all’Agente della Riscossione – oggi soggetto unico con Agenzia Entrate – la riscossione delle somme risultanti da atti di accertamento, da avvisi di irrogazione di sanzioni e da intimazioni ad adempiere; di tale affidamento a suoi carico, orbene, il contribuente non viene affatto a conoscenza.
Il citato testo comunque non ha comportato totale soppressione del ruolo; quest’ultimo atto sopravvive per lo più, infatti, salvo eccezioni quale strumento di riscossione per : a) somme indicate in avvisi di accertamento relativi agli altri tributi indiretti; b) somme risultanti dalle sentenze delle Commissioni Tributarie qualora si controverta su tributi indiretti e locali ; c) somme dovute in relazione alle procedure di rettifica della dichiarazione di tipo formale (36bis e 36ter D.P.R. N. 600/1973 ; d) somme dovute a titolo di sanzioni; e)somme dovute a titolo di tassazione separata.
Da ciò consegue che con riferimento alla pretese risultanti da avvisi di accertamento, da avvisi di irrogazione di sanzioni nonché da sentenze tributarie aventi ad oggetto Imposte sui Redditi ed Iva il titolo dimostrativo utile a provare la sussistenza del credito tributario per cui l’Agente della riscossione si insinua al fallimento deve esser individuato per lo più nell’atto di accertamento, di irrogazione delle sanzioni o nell’intimazione di pagamento.
Con riguardo, invece, a pretese tributarie di natura differente da quelle menzionate e risultanti dai detti atti , nonché inerenti tributi diversi, l’insinuazione al passivo del fallimento si ritiene subordinata all’avvenuta nonché compiuta iscrizione a ruolo.
Esiste quindi di fatto un duplice regime in relazione al quale l’Agente della Riscossione, salvo prassi in divenire, può insinuarsi al passivo del fallimento.
MEDIAZIONE TRIBUTARIA OBBLIGATORIA
La mediazione in materia tributaria è ormai diventata obbligatoria anche per cause e /o vertenze di valore più elevato; prima infatti stabilita una soglia pari ad Euro 20.000,00 ora con le ultime modifiche passa ad Euro 50.000,00 il valore della lite al di sotto del quale è obbligatoria la mediazione tributaria per le cause contro il Fisco. Ergo impugnazioni degli atti dell’Agenzia delle Entrate e delle cartelle esattoriali .
Detta obbligatorietà è frutto del disposto della “Manovrina” del 2017 per atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018. La data di notifica si considera perfezionata al momento della ricezione da parte del contribuente . Da ciò consegue pertanto che se l’atto de quo a mezzo posta è stato spedito anteriormente al 1° gennaio 2018 ma ricevuto successivamente la fattispecie ricada nella cd mediazione tributaria obbligatoria.
In estrema semplificazione la stessa si applica per:
- Atti notificati rectius ricevuti a decorrere dal giorno 1° gennaio 2018;
- Rifiuti taciti per i quali, alla data del 1° gennaio 2018, non sia decorso interamente il termine di
giorni 90 dalla presentazione ex ante della domanda di restituzione .
Sono soggetti a mediazione tributaria obbligatoria gli atti e/o provvedimenti concernenti imposte e tasse o in materia catastale. Tra questi anche la comunicazione di iscrizione di fermo amministrativo sui veicoli ovvero di ipoteca su beni immobili.
Il ricorso sotteso ad instaurazione e notificato all’ Ente impositore/Agenzia della Riscossione , qualora si alleghi contestualmente istanza di mediazione, produce effetti de plano di reclamo ; ancorchè possa contenere una proposta di vera e propria mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.
Per quanto riguarda la determinazione del valore della controversia tributaria si fa solitamente riferimento alle disposizioni di lege in punto; alla stregua delle quali il valore della lite coincide con l’importo del tributo di cui si controverte al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto oggetto di impugnazione stessa.
Nel caso in cui si discuta esclusivamente delle sanzioni il valore è costituito, appunto, dal mero loro ammontare.
Gli Uffici Fiscali hanno altresì puntualizzato che laddove si discetti di rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi il valore della lite corrisponda all’importo del tributo effettivamente richiesto a rimborso; ciò al netto degli accessori . Se l’istanza di rimborso riguardi più periodi di imposta il valore della lite si intende quello di ogni tributo chiesto a rimborso per singolo periodo di imposta di riferimento.
La mediazione/reclamo si applica anche, per prassi, anche in caso di autotutela parziale.