Diritto del Lavoro

Come e Quando Denunciare un Alunno

Chi può denunciare un alunno?

Gli insegnanti hanno la responsabilità di denunciare gli alunni per episodi di rilevanza penale che avvengono in loro presenza.

Questo perché, nello svolgimento delle loro mansioni, possono essere considerati “pubblici ufficiali”, ruolo loro riconosciuto da due importanti sentenze della Cassazione, la n. 6587 del 1991 e la 3304 del 1999, poiché la loro funzione non si limita alla tenuta delle lezioni ma si estende pure alle attività preparatorie, contestuali e successive, tra cui gli incontri scuola-famiglia.

I “pubblici ufficiali” e gli “incaricati di pubblico servizio” sono infatti tenuti a denunciare tutti i reati perseguibili d’ufficio ai sensi degli artt. 362 e 358 c.p..

La Corte di Cassazione ha inoltre dichiarato che in alcuni casi anche i collaboratori scolastici hanno l’obbligo di denuncia, in quanto gli è stata attribuita la qualifica di “incaricati di un pubblico servizio” (sentenza n. 17914 del 2003).

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Per quali reati possono essere denunciati gli alunni?

Gli alunni possono essere denunciati alle autorità competenti per ogni reato perseguibile d’ufficio perché per l’avvio dell’azione penale non occorre la querela della persona offesa dal reato.

In sintesi, quindi, si può procedere contro di essi per:

  • Furto;
  • Violenza;
  • Danneggiamento di beni della scuola o, in generale, atti di vandalismo;
  • Deturpamento beni immobili o mobili (graffiti, scritte, ecc.);
  • Diffusione materiale pedopornografico;
  • Abusi o molestie sessuali.

Il reato di ingiuria è stato depenalizzato, quindi non è più obbligatorio denunciarlo.

Tuttavia, l’ingiuria ad un insegnante integra il reato di “oltraggio a pubblico ufficiale”, punito con la reclusione fino a tre anni (art. 341-bis c.p.).

Il bullismo è un reato?

Per quanto riguarda il bullismo, non esiste ancora una fattispecie legislativa apposita, quindi si puniscono singoli episodi che violano norme specifiche, come le percosse e le lesioni (art. 581 c.p.) o gli insulti (art. 635 c.p.).

L’unica cosa che compete all’insegnante dinanzi a comportamenti di bullismo è darne immediata comunicazione al docente incaricato di vigilare sul fenomeno e al Dirigente Scolastico per attivare le misure previste dall’istituto per prevenire e sradicare tale infida piaga sociale.

Nella sentenza del 14 giugno -10 settembre 2012, la VI Sezione penale della Cassazione ha condannato per abuso dei mezzi di correzione e disciplina (art. 571 c.p.) una maestra, per aver punito un bullo obbligandolo a scrivere sul quaderno cento volte “sono un deficiente”.

L’alunno aveva deriso un compagno di classe chiamandolo “femminuccia” e ne aveva impedito l’accesso ai bagni maschili, oltre ad altre angherie, senza provare rimorso né scusarsi.

La reazione della maestra è stata definita dai giudici “denigratoria e umiliante”, in quanto la punizione doveva essere svolta alla presenza dei compagni e controfirmata da un genitore, causando all’allievo un forte stato d’ansia che ha portato a dover ricorrere all’intervento di uno psicoterapeuta e ad un cambio di scuola.

La Corte ha sancito che nel processo educativo è essenziale la congruenza tra mezzi e fini, tra metodi e risultati, cosicché “diventa contraddittoria la pretesa di contrastare il bullismo con metodi che finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali siano decisi dai rapporti di forza o di potere.

La pena inflitta al ragazzo, oltre che lesiva della sua dignità, era semplicemente idonea a rafforzare l’errato convincimento che i rapporti relazionali sono regolati dalla forza, invece da indurre nello stesso sentimenti di solidarietà verso i soggetti più deboli.

Come denunciare il reato commesso da un alunno

La denuncia va fatta tempestivamente; l’omissione o il ritardo della stessa sono considerati reato penale ai sensi dell’art. 361 del c.p..

La denuncia deve essere indirizzata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale del luogo dove è avvenuto il reato, se l’alunno è maggiorenne; alla Procura della Repubblica per i minorenni o anche ad un Ufficiale di polizia giudiziaria (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, ecc.) se è minorenne.

La denuncia è obbligatorio sporgerla pure nel caso in cui l’autore del reato è minore di quattordici anni, nonostante vi sia  l’esclusione dell’imputabilità per la minore età (art. 97 c.p.). Ogni valutazione in merito è rimessa all’apprezzamento del Tribunale dei Minorenni.

La denuncia va effettuata in forma scritta e deve esporre i fatti in modo chiaro e completo senza alcun apprezzamento sull’attendibilità dei medesimi. Pur non essendo previsto un termine specifico, essa deve essere presentata senza ritardo alla competente Autorità giudiziaria.

Sentenze

Con la sentenza n. 63 del 2001 il Tribunale di Sondrio ha condannato i genitori di un alunno minorenne al pagamento di un risarcimento di euro 18.500, di cui 4.000 di spese legali, ad un’insegnante vittima di comportamenti minacciosi e violenti da parte del figlio.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che le dichiarazioni scritte rese dagli studenti agli insegnanti durante le assemblee di classe possono essere usate in un procedimento penale.

In concreto, due minorenni erano accusati di vandalismo ai danni della scuola per averla allagata.

Le dichiarazioni raccolte dagli insegnanti nel corso di riunioni tenutesi nei giorni successivi all’accaduto avevano lo scopo di stimolare una riflessione sul fatto, non un’attività ispettiva e di vigilanza, come argomentato dalla difesa, per cui il giudice poteva valutarne liberamente la portata per giungere ad un verdetto (sentenza n. 11888 del 2013).

Ai fini poi dell’integrazione del reato di diffamazione, anche a mezzo internet, la Corte ha chiarito che “è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa”, facendo riferimento al caso di allievo che aveva insultato un insegnante sui social (sentenza n. 16712 del 2014).

L’occupazione scolastica è reato?

Ad oggi non esiste una normativa specifica che disciplina le occupazioni degli istituti scolastici da parte degli allievi.

La Corte di Cassazione in proposito ha sancito, con la sentenza n.1044 del 2000, che “l’art. 633 c.p. (invasione di terreni ed edifici) non è applicabile alle occupazioni studentesche perché tale norma ha lo scopo di punire solo l’arbitraria invasione di edifici e non qualsiasi occupazione illegittima”.

Ancora con la sentenza n. 35178 del 2007 ha ritenuto che “l’occupazione temporanea di una scuola, sebbene per motivi sindacali, integra gli estremi della fattispecie di cui all’art. 340 c.p. (interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità) quando le modalità di condotta, volte ad alterare il normale svolgimento del servizio scolastico, esorbitano dal legittimo esercizio dei diritti di cui agli artt. 17 e 21 della Costituzione, ledendo altri interessi costituzionalmente garantiti”.

Stesso orientamento nella pronuncia n. 7084 del 2016: “anche poche ore di occupazione ledono il diritto all’apprendimento e rappresentano quindi un’interruzione di pubblico servizio a tutti gli effetti.”

In controtendenza con le suddette statuizioni, nel 2021 la Procura di Roma ha deciso di archiviare tutta una serie di inchieste riguardanti l’occupazione di scuole fatta dagli studenti, sottolineando come essi abbiano solo esercitato il “diritto di riunione e manifestazione”.

Le manifestazioni “sobrie” e pacifiche , infatti,  garantiscono il diritto allo studio grazie al programma alternativo proposto e alle lezioni autogestite.

Non vi è dunque “interruzione di pubblico servizio” ma si può soltanto parlare di “violenza privata” se viene impedito al docente di oltrepassare la soglia dell’istituto per svolgere le attività didattiche con gli alunni in disaccordo con al protesta.

 

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