Lesione diritti della personalità e diritto all’oblio
Quali sono? E quali gli strumenti di tutela?
Indice dei contenuti
- 1 Cosa si intende per diritti della personalità?
- 2 Quali sono le caratteristiche dei diritti della personalità?
- 3 Quale il giudice che ha giurisdizione in tema di lesione dei diritti fondamentali?
- 4 Il diritto di abitazione è un diritto fondamentale dell’uomo?
- 5 Quid iuris per la tutela del nome e dell’immagine?
- 6 L’evoluzione tecnologica ha fatto nascere nuovi diritti della personalità?
- 7 Qual è tutela specifica prevista dalla legge per il diritto alla riservatezza?
- 8 Cosa si intende per diritto all’ oblio?
- 9 Cosa cambia con l’avvento di internet?
- 10 Quali sono i limiti applicativi della nuova disciplina?
Cosa si intende per diritti della personalità?
I diritti della personalità possono essere definiti come l’insieme delle situazioni giuridiche attinenti all’ individuo in quanto tale.
In questo ambito assume rilievo preminente il concetto di dignità intesa come condizione umana meritevole di rispetto per qualità intrinseche.
Ne deriva una tutela slegata da riconoscimenti o meriti particolari, ma basata unicamente sul valore della persona.
L’uomo, infatti, con applicazione giuridica dell’etica kantiana per cui è sempre fine e mai mezzo, è titolare di diritti personali innati e universali.
Quali sono le caratteristiche dei diritti della personalità?
La prima caratteristica è intrisa nel dato cronologico indicando il tempo di acquisizione che coincide con la nascita, più correttamente con la venuta ad esistenza con riferimento alla più recente giurisprudenza che riconosce alcuni diritti anche al nascituro degno, in ogni caso, di protezione.
I diritti della personalità, dunque, sono interni al soggetto e da tale dato consegue anche la peculiarità dell’universalità essendo validi in ogni luogo.
Tale ultima affermazione si spiega in base al valore fondamentale attribuito all’essere umano, superiore rispetto a qualsiasi altro interesse.
Ne consegue un riconoscimento legislativo a livello internazionale prima ancora che nell’ordinamento nostrano.
La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo adottata dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 all’ art. 1 afferma proprio l’ uguaglianza di diritti e di dignità dell’uomo e la libertà, caratteristiche innate con puntualizzazione e specificazione nella disposizione successiva.
L’ art. 2, infatti, ribadisce il concetto di uguaglianza nel godimento dei diritti menzionati nella Dichiarazione escludendo nominativamente qualsiasi tipo di discriminazione.
I medesimi elementi sono fatti propri dalla legislazione europea nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, cosiddetta Carta di Nizza, datata 7 dicembre 2000, laddove vi è espresso impegno dell’istituzione al rafforzamento e alla tutela dei diritti fondamentali identificati come necessari per un corretto progresso scientifico ed economico.
Essi sono ancora più specificati nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo con elenco tipizzato e nominale.
Tale tecnica normativa è utilizzata anche dal legislatore costituzionale che, nella prima parte, Titolo I della Carta fondamentale si occupa dei diritti dei cittadini, in particolare riferendosi ai rapporti civili.
Attiene, infatti, al minimale livello di educazione giuridica e di convivenza il rispetto, almeno, dell’uomo in quanto tale.
L’assunto necessita di spiegazione in relazione al momento storico in cui l fonti richiamate vengono emanate ossia nell’ imminenza della fine del secondo conflitto mondiale.
Le barbarie, le atrocità perpetrate durante la guerra hanno, infatti, indotto tutte le Nazioni a un riconoscimento esplicito dei diritti fondamentali onde scongiurare il pericolo di un ricorso storico.
Dopo aver snaturato l’essere umano della sua essenza avendolo trattato alla stregua di un corpo inanimato, il legislatore interviene in modo vincolante e precettivo.
Tale è la matrice culturale dell’art. 2 della Costituzione origine della cosiddetta “solidarietà sociale” ovvero dell’obbligo di rispetto e di aiuto vicendevole poiché tutti gli esseri umani sono uguali senza distinzione formale e sostanziale come specificato dal successivo art. 3.
Si sottolinea la genericità e l’ onnicomprensività delle disposizioni citate a fronte dell’esame analitico e catalogativo operato dalle fonti sovranazionali.
Esse costituiscono specificazione del dettato costituzionale con attribuzione, in caso di eventuale contrasto, alla Corte Costituzionale.
Quale il giudice che ha giurisdizione in tema di lesione dei diritti fondamentali?
È la Corte Costituzionale, giudice delle leggi, l’unica autorità giurisdizionale con competenza in tema di lesione dei diritti fondamentali anche in caso di coinvolgimento della Carta di Nizza, comunitarizzata di recente, dunque, con lo stesso valore dei Trattati fondamentali e primari.
Recente giurisprudenza costituzionale ha, in tal senso, ribadito che non si fa ricorso alla disapplicazione in quanto la violazione dei diritti della persona rappresenta sempre un contrasto con la Carta fondamentale che riconosce i medesimi diritti della Carta di Nizza e il cui art. 117 funge da rinvio permanente.
L’unicità giurisdizionale e processuale è sintomo della volontà di aggregare tutti i diritti in un unico catalogo onnicomprensivo.
Tale argomento è fatto proprio dai sostenitori della teoria monista laddove affermano l’impossibilità di una parcellizzazione dei diritti della persona tutti riconducibili all’ uomo in quanto tale.
I singoli elenchi hanno solo valenza descrittiva non comportando alcuna scomposizione.
A essi valore diverso e opposto è attribuito dall’ impostazione pluralista che riconosce tante singole situazioni tutelabili. In tale ottica a ogni nome corrisponde un diritto.
Ognuno, però, è intrinseco all’ uomo diversamente, sotto tale aspetto, dal diritto soggettivo che, sebbene tutelato erga omnes e autosatisfattivo, è caratterizzato dall’ esternalità del bene anelato.
Tale riflessione sgretola la teoria pluralista scoprendosi alla base di tutti i diritti fondamentali il valore uomo, unica situazione esistente e degna di protezione.
L’elenco ha solo funzione descrittiva, mai tipizzante, dotata di elasticità potendo crescere col nascere di nuove esigenze.
Il diritto di abitazione è un diritto fondamentale dell’uomo?
Oggetto del diritto di abitazione non è la proprietà del bene, non considerata diritto fondamentale senza rischio di stravolgere l’esatto ambito applicativo dell’art. 2043 c. c. dettato in tema di danno patrimoniale aquiliano, ma una corretta espansione della persona umana rappresentando la casa e un suo esatto godimento estensione della stessa.
Ad essere tutelato, infatti, non solo il proprietario, ma il possessore, mera situazione di fatto e perfino il detentore.
L’aspetto economico, dunque, è surclassato dal dato personale del godimento di un ambiente domestico e familiare.
Quid iuris per la tutela del nome e dell’immagine?
L’art. 6 c. c. attribuisce il diritto al nome comprensivo del prenome e del cognome con tutela risarcitoria e inibitoria di cui al successivo art. 7 c. c. punendo l’abuso di immagine altrui nell’ art. 10 c. c.
La giurisprudenza ha specificato che essi coincidono con l’identità personale. Si è pronunciata, infatti, in relazione al caso di una coppia la cui immagine è stata utilizzata per la campagna contro la legge sul divorzio quando gli stessi erano favorevoli all’ introduzione dell’istituto o ancora nella famosa sentenza Veronesi per nocività del tabacco.
Ad essere tutelata l’intima essenza della persona, le sue convinzioni mostrate alla società.
Utilizzando un’unica locuzione alla base si rinviene il valore uomo nella sua accezione ontologica di vivente degno di rispetto per la sua stessa esistenza.
Ne consegue una catalogazione a fini meramente descrittivi e organizzativi con possibile espansione e impossibilità di tipizzazione.
Tale preclusione è dovuta soprattutto al mutamento dei tempi con conseguente cambiamento di valori dettato anche dal progresso tecnologico.
L’evoluzione tecnologica ha fatto nascere nuovi diritti della personalità?
L’evoluzione continua degli strumenti informatici e telematici, infatti, crea nuove occasioni di lesioni di diritti con conseguente riconoscimento sia di nuove situazioni protette sia di ampliamento delle forme di tutela tradizionali.
Si rende, pertanto, necessario un costante giudizio di meritevolezza onde evitare un’ipertrofica espansione dei diritti fondamentali. L’ esegeta si orienta avendo quale cardine il riconoscimento sociale del diritto vantato unito alla serietà e alla gravità della lesione.
Si afferma, nell’ ambito in esame, il principio di legalità misto per cui è sì necessario un riconoscimento normativo basato, però, su ciò che è comunemente avvertito.
È la società, intesa quale pluralità eterogenea di individui, ad effettuare la cernita basilare per la nascita di nuovi diritti.
Sono i valori espressi, circostanziati da tempo e luogo, a fondare il giudizio di meritevolezza ossia di equità nell’ ottenimento della protezione.
Tale fase prodromica è affiancata da una valutazione di serietà e gravità, tipici elementi del giudizio risarcitorio cristallizzati dalle celeberrime sentenze di San Martino in tema di danno aquiliano.
La prima denota ponderatezza, responsabilità nella scelta, la seconda l’importanza della violazione.
Sono questi tre, sentire sociale, serietà e gravità, i criteri che guidano il legislatore e l’interprete nel giudizio di meritevolezza necessario per il riconoscimento di nuove istanze sorte a seguito dei progressi tecnologici.
Non si tratta, però, solo di regolare situazioni prima sconosciute, bensì di adattare anche quelle già esistenti.
L’evoluzione informatica, infatti, influenza anche i diritti già esistenti stravolgendo la loro connotazione tradizionale.
Risultano maggiormente erosi, in tale ottica, quelli che si sviluppano nell’ ambito comunicativo, caratterizzati dallo scambio interpersonale in quanto è in tale settore che avviene un utilizzo maggiore delle tecnologie con strumenti di diffusione sempre più all’avanguardia.
È proprio la possibilità di raggiungere un numero più elevato di utenti che rende concrete ulteriori modalità di lesione.
Qual è tutela specifica prevista dalla legge per il diritto alla riservatezza?
Il diritto alla riservatezza è inteso come “right to be alone” ovvero diritto di proteggere la propria sfera intima e personale da ingerenze esterne, nella declinazione della protezione dei dati personali.
Con l’avvento dei social, la diffusione di internet e la digitalizzazione, una rivelazione e un trattamento illecito diventano più facilmente concretizzabili data l’ampia ricezione di questi strumenti.
Si è avvertita, pertanto, l’esigenza di rinnovare la disciplina in tale materia in attuazione del Regolamento Europeo 2016/ 679 recepito con legge n. 101/ 2018 di modifica dell’attuale codice della privacy D. lgs n. 196 del 2003.
Nel considerando n. 7 della suddetta normativa espressamente si pone a base della scelta legislativa la rapidità dell’evoluzione tecnologica che ha comportato un aumento della raccolta e dei dati personali.
Questi, nell’era del digitale, diventano veri e propri beni patrimoniali suscettibili di valutazione economica come afferma la Suprema Corte legittimando il comportamento di una newsletter che offriva gratuitamente servizi in cambio del loro utilizzo.
I giudici specificano che si tratta di liberalità non donativa con interesse patrimoniale di ritorno avente ad oggetto proprio i dati personali.
Di qui la necessità di una certezza giuridica e operativa nel loro utilizzo onde garantire un corretto sviluppo dei mercato digitale.
Queste nuove modalità di condivisione e di utilizzo si riflettono anche sulla diffusione e sull’acquisizione degli stessi.
Immessi nel web, infatti, i dati personali e le varie notizie possono sempre essere rintracciabili.
È il cosiddetto “cloud “ che ogni elemento caricato con moltiplicazione dei responsabili in un sistema a cascata dove è possibile identificare il server provider, fornitore di spazio, l’ host provider, ossia colui che ospita il sito sorgente e il content per i contenuti.
Il carattere permanente della visualizzazione della notizia ha indotto il legislatore al riconoscimento del diritto all’oblio già avvenuto in via pretoria.
Cosa si intende per diritto all’ oblio?
L’oblio, di omerica memoria, è il diritto di ciascuno di non essere ricordato pubblicamente per i fatti non più attuali di cui si è protagonisti negativi.
Rappresenta la richiesta di essere dimenticati.
Per la sua ontologica natura funge quale limite al diritto di cronaca espressione della libertà di pensiero di cui all’ art. 21 della Carta fondamentale.
Un’impostazione ha, infatti, affermato che si aggiungerebbe un ulteriore requisito al famoso decalogo del giornalista stilato dalla giurisprudenza di legittimità nel 1954.
Oltre alla verità, corrispondenza al reale, alla continenza, utilizzo di espressioni non offensive, alla pertinenza, utilità per il pubblico sarebbe necessaria l’attualità della notizia.
Si è specificato, però, che così non è sostanziandosi il diritto all’oblio solo in un divieto di ripubblicazione di notizie personali.
Ciò non vuol dire eliminare qualsiasi riferimento storico oppure modificare il racconto del passato, ma solo attuare una corretta ponderazione di interessi.
Tali principi sono stato affermati anche di recente dalla giurisprudenza che, richiamando pronunce sovranazionali, riconosce il diritto all’ oblio come fondamentale e attinente alla possibilità di impedire una nuova pubblicazione se esclusivamente lesiva per il protagonista.
Cosa cambia con l’avvento di internet?
Se questa è l’accezione tradizionale, la situazione si riempie di contenuto nuovo con l’ avvento di internet laddove si declina in tre forme di tutela quali l’aggiornamento, la deindicizzazione e la cancellazione, unico rimedio previsto dall’ art. 17 GDPR.
Prima dell’avvento del digitale, infatti, il bilanciamento avveniva con la cronaca esercitata, per lo più, attraverso la stampa tradizionale avente diffusione limitata.
La lesione, dunque, consisteva nella condotta di ripubblicazione della notizia dannosa a fronte della quale era possibile il risarcimento del danno e l’inibitoria anche attraverso un procedimento urgente ai sensi dell’art. 700 c. p. c.
Si tratta, dunque, dei rimedi tradizionali, forme di reazione idonee a impedire il perpetrarsi del danno.
I giornali on-line, la tecnica dei link e dei cookie rende questi strumenti insufficienti per un’effettiva protezione.
Non si è più al cospetto della carta stampata, di un numero definito di copie, ma di dati digitali che rimbalzano da un sito ad un altro come “palline impazzite” in un sistema aggregato e comunicante rafforzato molte volte da strategie volte al miglioramento del posizionamento su Google (si pensi ad es. alla link building).
Di qui la necessità di un aggiornamento costante della notizia, prima fonte rimediale.
Essa coincide con una corretta raffigurazione dell’identità personale ragguagliando il passato al presente.
Il soggetto è descritto per come è al presente anche se riferito al tempo passato.
L’operazione è di revisione con perfetta corrispondenza alla realtà e rispetto della prima regola del decalogo, quella della verità.
Solo in tal modo è rispettata la corrispondenza delle caratteristiche narrate con quelle effettivamente possedute.
L’aggiornamento, dunque, si sostanzia nella richiesta di differenziazione e distinzione rispetto a ciò che è stato.
Tali caratteri contribuiscono a rendere l’aggiornamento rimedio blando in quanto la notizia comunque permane.
Più penetrante la richiesta di deindicizzazione con completa cancellazione del link del sito sorgente del motore di ricerca.
Si elimina dal server il rimando alla notizia. È il rimedio maggiormente efficace in considerazione delle abitudini degli utenti della rete che sovente si avvalgono di tali tipi di strumenti per ottenere le informazioni volute.
Esso non è previsto dall’ art. 17 GDPR con esclusivo riferimento nel considerando 66 ove si chiede un rafforzamento del diritto all’ oblio nell’ambiente on-line attraverso la cancellazione anche dei link che sono stati sottoposti a posizionamento su Google.
Gli esegeti, dunque, hanno riconosciuto pieno vigore anche al rimedio della deindicizzazione con interpretazione dell’art. 17 alla luce del dettato del considerando menzionato e basandosi sul sillogismo che il più, la cancellazione della notizia, comprende il meno.
Tale visione è stata acquisita anche sulla scorta dei principi unionali dettati con la pronuncia nota come caso Google Spain.
L’occasione è data dalla richiesta di un cittadino spagnolo di cancellazione della notizia di pignoramenti subiti molto tempo indietro a causa di insolvenza di debiti previdenziali.
La Corte riconosce il diritto alla deindicizzazione nei confronti del motore di ricerca, per la prima volta ritenuto soggetto responsabile nella trattazione dei dati personali.
Fino a tale sentenza, infatti, il server provider era considerato soggetto non idoneo alla lesione dei diritti fungendo da mero contenitore dei siti sorgente senza alcuna valutazione né potere sui contenuti degli stessi.
La Corte, nella pronuncia in esame, muta il proprio orientamento sostenendo la responsabilità di Google di portata anche maggiore rispetto agli altri provider rappresentando il canale principale di reperimento delle notizie.
Attraverso di esso si perpetra la lesione del diritto all’oblio, a essere dimenticati riconosciuto espressamente e ritenuto prevalente al cospetto di un pubblico interesse alla conoscenza poiché fondamentale dell’individuo.
L’essere umano, nel giudizio di bilanciamento, prevale sempre come affermato anche nelle pronunce relative al diritto a morire soccombente rispetto al bene vita.
Ne consegue il riconoscimento della possibilità di ottenere la deindicizzazione dei link cui si affianca un terzo e ultimo rimedio di protezione che è quello della cancellazione.
È la tutela più pregnante, fatta propria dal legislatore nell’ art. 17 GDPR laddove si attribuisce all’ interessato il diritto di ottenerla senza ritardo se i dati non sono più necessari alle finalità, in presenza di revoca del consenso, per opposizione al trattamento ovvero per illiceità dello stesso, in adempimento di obbligo legale.
Quali sono i limiti applicativi della nuova disciplina?
I limiti applicativi sono il diritto di espressione e di informazione, l’imposizione legislativa, l’archiviazione storica, la ricerca scientifica, la difesa giudiziaria e il pubblico interesse.
Tale ultimo valore è stato invocato dalla giurisprudenza per respingere la richiesta di un curatore fallimentare di eliminare il proprio nominativo dal registro delle imprese per un’attività cancellata.
A fondamento l’interesse generale alla conoscenza per eventuali crediti insoluti o per l’affidamento di altre possibili pratiche.
L’operazione è sempre quella di confronto tra beni ritenuti degni di meritevolezza ove risulta vicino alla persona in quanto basilare per il riconoscimento di tutti gli altri.
La valutazione, però, non è asettica essendo legata alle contingenze temporali che influenzano il giudizio di valore attraverso la creazione di nuovi diritti, l’ampliamento dell’ambito applicativo di quelli già esistenti con conseguente introduzione di altri strumenti di protezione e di tutela