Diritto Penale

Reato di Minaccia: Come funziona? Cosa si Rischia?

Il reato di minaccia è previsto dall’art. 612 del codice penale come autonoma fattispecie illecita, e tutela la libertà morale e l’autonomia dell’individuo sanzionando l’intimidazione compiuta con la prospettazione di un danno ingiusto con una multa fino ad euro 1.032, e la reclusione fino ad un anno nel caso di minaccia grave o fatta in uno dei modi indicati dall’art. 339 c.p.

Elementi costitutivi del reato di minaccia

Esso è un reato a forma libera, in quanto può essere messo in atto con parole, gesti o altri metodi espressivi, potenzialmente idonei ad incidere sulla psiche del soggetto passivo.

Ad esempio, le affermazioni “te la farò pagare” o “ti sistemo io” perfezionano il reato di minaccia, secondo la sentenza n. 1690 del 2017, che ha confermato la condanna di un uomo che in strada si è sfogato verbalmente in siffatto modo nei riguardi di un altro soggetto in compagnia del figlio.

Gli Ermellini si sono espressi sul ricorso del reo avverso la sentenza del giudice di pace che gli aveva comminato 200 euro di multa per il reato di cui all’art. 612 c.p.

Il ricorrente lamentava il travisamento della prova e vizi motivazionali in ordine alla sussistenza dell’illecito contestatogli, poiché le sue esternazioni erano “una legittima reazione ad una condotta di violenza privata posta in essere dalla persona offesa”.

La Cassazione, valutato il caso, annulla la sentenza relativamente al trattamento sanzionatorio e conferma le altre deduzioni, ritenendo infondati i motivi del ricorso.

La pena inflitta risulta illegale perché il fatto è stato commesso prima dell’entrata in vigore della Legge 119 del 2013, che ha aumentato il limite edittale della multa prevista per il reato di minaccia, per questo essa viene rideterminata in euro 50 ovvero nel limite massimo previsto dall’art. 612 c.p.  all’epoca della commissione dell’evento.

Per ciò che concerne l’elemento soggettivo del reato è il dolo generico, cioè è sufficiente la consapevolezza e volontà della condotta dell’agente, non essendo necessario che essa sia rivolta a un determinato scopo.

Perché la minaccia sia perseguibile non occorre la presenza della persona interessata, ma basta che essa ne risulti informata, pure indirettamente, da altri soggetti.

reato di minaccia

Come si perfeziona l’illecito?

La minaccia è  un reato di pericolo, cioè si perfeziona con la semplice realizzazione della condotta minatoria.

La valutazione dell’idoneità della minaccia ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo va effettuata “avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell’uomo comune” (Cass., Sez. V, sentenza n. 8264 del 1992).

Tale idoneità va valutata ex ante, non rilevando che la vittima non sia stata intimidita o che il male prospettato non si sia verificato.

Al riguardo si può citare la sentenza n. 9392 del 2020 della V Sez. Pen. della Cassazione.

Il Tribunale di Caltanissetta, con pronuncia del 31.10.2018, in parziale riforma del giudizio del locale Giudice di Pace del 06.03.2017, ha condannato l’imputato alla pena di euro 450 di multa per i reati di cui agli artt. 81cpv., 612 comma 1 e 582 c.p., per aver proferito frasi minatorie (“comunque non finisce qui”) e aver cagionato lesioni alla persona offesa (abrasioni al collo guaribili in 5-7 giorni).

Quest’ultimo ricorre per Cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, l’insussistenza dell’elemento oggettivo, poiché l’espressione incriminata deve essere intesa con riferimento all’esercizio di un’azione giudiziaria, nell’ambito delle liti pendenti tra le parti.

La Corte ha ritenuto invece che “nella fattispecie in esame, proprio per il contesto ed il momento nel quale è stata proferita – dopo l’aggressione – nonché per i toni e la cornice di riferimento, non può che intendersi come prospettazione di un’ulteriore attività aggressiva illegittima e, quindi, integrare il reato di minaccia.”

Infatti già la precedente giurisprudenza aveva statuito che “se è vero che non è necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente nella vittima, bastando la sola attitudine ad intimorire, è indispensabile, però, che il male ingiusto possa essere dedotto dalla situazione contingente” (Cass., sentenza n. 51246 del 2016).

Il ricorso vien dunque rigettato, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese della parte civile, liquidati in euro tremila quindici, oltre accessori di legge.

Regime di procedibilità

Il reato di minaccia è procedibile a querela della persona offesa entro novanta giorni di tempo dall’accaduto, con prescrizione semestrale.

Tuttavia la procedibilità è d’ufficio, come espresso nel secondo comma dell’art. 612 c.p. (aggiunto dal d.lgs. n. 36 del 2018), se la minaccia è commessa:

  • Con armi
  • Da persona travisata
  • Da più persone riunite
  • Con scritto anonimo
  • In modo simbolico
  • Valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete (esistenti o supposte)
  • Mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti a offendere (compresi gli artifici pirotecnici).

Trattasi delle ipotesi contemplate dall’art. 339 c.p., rubricato “circostanze aggravanti”, che prevedono la competenza del Tribunale monocratico anziché del Giudice di Pace.

Con la sentenza n. 3115 del 2024 la Quinta Sezione della Cassazione si è pronunciata su di un ricorso con cui si denunciava l’illegittimità costituzionale dell’art. 612 c. 3 c.p. nella parte in cui prevede la procedibilità d’ufficio per l’illecito di minaccia aggravata.

Il ricorso impugnava la pronuncia della Corte d’Appello di Genova, che confermava la condanna dell’imputato ai sensi dell’art. 612 comma 2 e dell’art. 61, n. II, quater (aver commesso il fatto mentre era sottoposto a misura alternativa alla detenzione) e di porto di armi o oggetti atti ad offendere (nella specie un coltello, art. 4, commi 2 e 3, l. n. 110 del 1975).

Nei sette motivi riguardanti vizi di motivazione e legittimità, veniva lamentato il contrasto dell’art. 612 comma 3 c.p. con l’art. 3 della Costituzione e col principio di ragionevolezza, posto che, con il d.lgs. n. 150 del 2022, è stato introdotta la procedibilità a querela per altri reati, ad avviso del ricorrente più offensivi della minaccia grave, tenendo anche conto che la persona offesa voleva rimettere la querela.

Gli Ermellini hanno escluso la fondatezza di tale questione perché in base al consolidato orientamento della Corte Costituzionale, la discrezionalità del Legislatore nella disciplina degli istituti processuali è ampia ed insindacabile, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza.

Nel caso in oggetto era evidente l’offensività del reato rispetto agli altri procedibili a querela, in quanto si era concretizzato in un’iniziativa aggressiva del ricorrente con l’uso di un coltello durante la sottoposizione ad una misura alternativa al carcere, circostanze idonee a rivelare una maggiore pericolosità della condotta.

Differenza tra minaccia e violenza privata

Il reato di minaccia si distingue da quello di violenza privata (art. 610 c.p.).

La differenza sta nell’elemento intenzionale: mentre nella minaccia l’atto intimidatorio è fine a sé stesso, nella violenza privata la minaccia (o violenza fisica) funge da mezzo a fine, e occorre che essa sia diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa.

La Quinta Sezione della Cassazione si è così espressa (sentenza n. 14004 del 2020) circa il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte D’appello di Brescia in merito alla condanna inflitta dal giudice di merito all’imputato per aver effettuato una telefonata intimidatoria alla propria moglie allo scopo di spingerla a ritirare le denunce a suo carico.

Egli riteneva infatti che la condotta dovesse rientrare nella fattispecie di cui all’art. 610 c.p. e non in quella dell’art. 612 c.p.

La Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, riconducendo il fatto all’ipotesi del tentativo di violenza privata, poiché la minaccia compiuta non era fine a sé stessa, ma diretta ad ottenere il ritiro delle denunce (un facere).

Estinzione del reato a seguito di riparazione

Con la Legge n. 103 del 2017 è stato introdotto l’art. 162-ter c.p., che prevede la possibilità di estinguere il reato di minaccia semplice con la riparazione integrale del danno provocato.

Ai sensi dell’art. 1208 e seguenti c.c., l’aggressore può liberarsi da ogni responsabilità dal reato perpetrato presentando un’offerta formale e reale di riparazione, o, se questa non viene accettata dalla vittima, quando  è ritenuta equa dal giudice.

La dichiarazione dell’estinzione del reato per riparazione deve avvenire all’inizio dell’udienza dibattimentale, dopo che il giudice ha udito le parti.

 

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