Diritto Civile

Risarcimento Danni Negligenza Medica

 Qual è la differenza tra imperizia e negligenza medica?

 

L’errata diagnosi medica rientra nella responsabilità per colpa da “imperizia”, quest’ultima, a differenza della negligenza, presuppone un comportamento attivo del medico, il quale agisce con una condotta attiva non tenendo conto delle linee giuda o delle regole professionali attinenti al caso concreto.

Diversamente, la condotta negligente presuppone, invece, un comportamento omissivo e passivo del sanitario nel  non mettere in pratica le sue conoscenze scientifiche agendo con mera distrazione e noncuranza.

A titolo esemplificativo, è negligente la condotta del medico che a seguito dell’operazione dimentica il bisturi nello stomaco di un paziente.

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Entrambe le ipotesi di colpa succitate, comportano sia dei profili di responsabilità penale del sanitario, qualora dalla sua condotta colposa possa derivare un illecito penale, che profili di responsabilità civile.

Giova, al riguardo, ricordare che la l. Gelli – Bianco n . 24/2017, ha reintrodotto il sistema del doppio binario, in materia di responsabilità civile, riconoscendo in capo alla struttura sanitaria una responsabilità ai sensi degli artt. 1218 c.c e. 1228 c.c., e in capo all’esercente una responsabilità ex art. 2043 c.c., sempre che “il sanitario non abbia agito nell’adempimento di obbligazioni di natura contrattuale”.

Pertanto, il paziente danneggiato potrà inoltrare la richiesta risarcitoria in prima facie alla struttura sanitarie e in subordine al sanitario, qualora lo stesso abbia agito secondo le modalità dell’illecito aquiliano; difatti, una tale responsabilità presuppone che il sanitario abbia agito sulla scorta di una prestazione non abituale e concordata con il paziente, ma si tratta di un evento occasionale e dettato da una situazione di emergenza .

Per di più, nelle ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c. in capo al sanitario,  gli oneri probatori rimarranno in  capo al danneggiato, il quale sarà tenuto a dimostrare la condotta dolosa o colposa del sanitario, il nesso di causalità tra condotta e danno, e l’ingiustizia dello stesso.

Di seguito, nella trattazione in oggetto, verranno riportati alcuni casi giurisprudenziali di “ malasanità” , concernenti i profili della responsabilità civile del medico.

DANNO NON PATRIMONIALE SUBITO QUALE CONSEGUENZA DIRETTA DELL’INTERVENTO DI TIROIDECTOMIA ( Sentenza n. 266/2018 del Tribunale di Milano)

Il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale milanese  riguardava  un paziente che  agiva in giudizio  allo scopo di ottenere  nei confronti  del  medico chirurgo e della struttura sanitaria la condanna al risarcimento del  danno non patrimoniale , quale conseguenza diretta dell’intervento di tiroidectomia totale , consistente nella lesione permanente dei nervi ricorrenti, nelle invalidità temporanee, nonché nella riduzione delle proprie capacità relazionali;  il ricorrente, quindi,  addebitava tale danno alla scorretta esecuzione.

Nel dettaglio, il paziente veniva sottoposto  ad  un intervento di tiroidectomia totale con diagnosi clinica di “recidiva di struma multinodulare”, conseguentemente durante l’intervento lo stesso subiva delle complicazioni di tipo respiratorio

Conseguentemente, la manifestazione di gravi difficoltà respiratorie subito dopo l’intervento richiedeva la reintubazione del paziente e il trasferimento in terapia intensiva con successiva tracheostomia per persistenza della dispnea all’estubazione.

Per di più, il paziente veniva  poi sottoposto a ripetuti controlli che  evidenziavano una paralisi cordale bilaterale in posizione paramediana, poi, in seguito,  veniva sottoposto a una serie di visite specialistiche, presso altri istituti, le quali avevano tutte evidenziato una lesione bilaterale dei nervi ricorrenti.

Il  ricorrente addebitava tale danno alla scorretta esecuzione dell’intervento innanzi citato, lamentando in particolare che il chirurgo avesse omesso di riconoscere e isolare i nervi ricorrenti, così provocandone la lesione, evidenziando come tale manovra cautelativa non risultasse descritta nel verbale operatorio.

Costituitasi in giudizio la struttura sanitaria, nei propri scritti difensivi, riconosceva  la sola responsabilità del medico chirurgo, e che pertanto il danno risulta essere stato  la conseguenza del solo operato del medico chirurgo, mentre la struttura ha correttamente eseguito le prestazioni accessorie del contratto di spedalità concluso con il paziente.

Mentre, per contro, il medico si difendeva in giudizio deducendo che l’intervento di tiroidectomia totale presentasse particolari difficoltà alla luce delle compromesse condizioni di salute del paziente, che lo stesso fosse indispensabile per allungarne la vita, che il paziente fosse stato compiutamente informato dei rischi connessi all’intervento e che vi avesse consapevolmente acconsentito e che risultasse indimostrato che la lesione dei nervi laringei fosse la conseguenza di una negligenza del medico.

Tanto premesso, il Tribunale condannava  a pagare, in solido, sia al medico che alla struttura sanitaria la somma  a titolo di risarcimento del danno di € 263.024,00 oltre interessi legali.

Nell’iter motivazionale, il Tribunale diversificava le due forme di responsabilità, così decidendo:

Per la responsabilità della struttura sanitaria:  l’obbligazione scaturente dal contratto, genericamente detta di assistenza sanitaria, ha un contenuto complesso, perché comprende sia la prestazione medica o chirurgica principale sia una serie di obblighi cd. accessori, consistenti nella messa a disposizione del personale medico, ausiliario e infermieristico, dei medicinali e delle attrezzature tecniche necessarie e nelle prestazioni latu sensu alberghiere comprendenti il ricovero e la fornitura di alloggio, vitto e assistenza al paziente fino alla sua dimissione (da ultimo Cass. 19541/2015).

Ne discende che, la struttura medica rispondeva quindi a titolo contrattuale per la mancata o scorretta esecuzione di ciascuna delle prestazioni ricomprese nell’obbligazione assunta, ivi inclusa la prestazione medica principale: sicché, la struttura ospedaliera rispondeva anche  per i danni cagionati dal personale medico ex art.1228 cc, per non essersi avvalsa della collaborazione di personale  medico qualificato.

Responsabilità del sanitario: in capo al medico si addebitava un responsabilità ex art 2043 c.c., per non aver operato  secondo le linee guida preposte al caso di specie, si legge nelle motivazioni della sentenza che è  regola generale di diligenza che il chirurgo operante un intervento di tiroidectomia debba assumere le cautele necessarie per evitare la recisione o comunque la lesione dei nervi laringei e, come affermato dai CTU , “l’unico modo per preservare il nervo durante l’operazione è riconoscerlo, isolarlo, preservarlo”.

RISARCIMENTO DEL DANNO DA OMESSA DIAGNOSI  AL TUMORE AL SENO ( Tribunale di Lucca sentenza del 27.09.2017).

La vicenda sottoposta la vaglio del Tribunale di Lucca riguardava una paziente, alla quale  dopo un controllo radiografico, le è stato diagnosticato dai radiografi della ASL  un nodulo; gli stessi sanitari  avevano consigliato alla paziente  di procedere al prelievo cito-microistologico ed exeresi chirurgica.

Ad un anno dall’intervento, avvenuto presso una clinica privata, la paziente si sottoponeva nuovamente ad uno screening alla mammella, dal quale si evinceva  che non solo la massa tumorale era rimasta ma vi era un nodulo di misure ancora maggiori.

Pertanto, la ricorrente chiedeva il risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti del professore che l’aveva operata,  nei termini di colpa medica, per i seguenti profili:

1) un’errata o insufficiente localizzazione della lesione nodulare, non palpabile, da asportare nel corso dell’intervento chirurgico ;

2) il mancato controllo radiografico del pezzo operatorio asportato con detto intervento, che avrebbe immediatamente chiarito che il nodulo era stato asportato solo per una sua piccolissima porzione:

Nell’iter motivazionale il Tribunale statuiva che “il professionista medico chirurgo risponde anche per colpa lieve quando per omissione di diligenza o per inadeguata preparazione provochi un danno nell’esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica; mentre risponde solo se versa in colpa grave, quante volte il caso affidatogli sia di particolare complessità o perché non ancora sperimentato e studiato a sufficienza o perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da seguire” (Cass. sentenza n. 2428/1990).

Nel caso di specie, l’intervento chirurgico effettuato dal professore può certamente considerarsi di norma routinario e, quindi, non può mai ritenersi “di speciale difficoltà” ai sensi dell’art. 2236 c.c., neppure se nel corso di esso si verifichino delle complicanze (Cass. 20586 / 2012) dunque, appare dimostrato che nell’esecuzione dell’intervento in questione il professore ha tenuto una condotta negligente, con riferimento alla non esatta localizzazione.

Alla luce di quanto premesso, il Tribunale di Lucca condannava i convenuti al risarcimento del danno per una somma pari a € 15.721,25 oltre interessi legali.

 

RISARCIMENTO DANNO DA LUSSAZIONE DELLA PROTESI A SEGUITO DI INTERVENTO CHIRURGICO. ( Sent. Tribunale di Roma dell’1.02.2018)-

Nel caso di specie, l’attrice lamentava, reduce da pregressi interventi di artroprotesi, di aver  riportato  una lussazione della protesi sinistra, in conseguenza della quale  veniva operata da un dottore presso una  casa di cura  per un intervento di sostituzione della protesi.

Nell’immediato dell’intervento, insorgeva alla stessa paziente una riduzione della sensibilità del piede e della motilità delle dita del piede, tanto da far sospettare una lesione del nervo sciatico.

Ne conseguivano gravi problemi di deambulazione subiti dall’attrice, pertanto la paziente chiedeva un risarcimento del danno per una somma complessiva di € 678.894,00 .

Si costituiva in giudizio il medico chirurgo, così stabilendo che “ nulla si può addebitare al dottore. – che aveva già in passato trattato chirurgicamente e con successo.- e che ha operato con la massima diligenza, testimoniata dalla metodica usata (utilizzo di cotile McMinn) era – per le conoscenze scientifiche dell’epoca- idonea al caso  – durante la manovra cruenta di tale tecnica si possono verificare delle fratture della parete acetabolare , in quanto il limite fra consistenza ossea e forza da applicare per ottenere una valida stabilità dell’impianto  l’aver preparato, prima dell’intervento vero e proprio, il nervo sciatico proprio per prevenire danni allo stesso, il che dimostra accortezza e prudenza, nonché adeguata valutazione delle implicazioni della difficile operazione”.

Pertanto, il Tribunale di Roma, a seguito degli accertamenti peritali, rilevava  in motivazione che la lussazione della protesi è “un fatto che costituisce pacificamente una complicanza non colposa, cioè non riconducibile ad errore medico essendo state attuate e rispettate esattamente le linee guida”.

Sulla scorta di quanto premesso,  dalla risultanze probatorie emergeva che il medico avesse agito con diligenza seguendo le linee guida adatte al caso di specie, conseguentemente il Tribunale rigettava  la richiesta risarcitoria della parte ricorrente .

RISARCIMENTO DANNI DA ASFISSIA PERINATALE ( Sent. del Tribunale di Velletri)

Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale  di Velletri , una paziente al 9°  mese di gravidanza, che a seguito di  contrazioni uterine e perdite ematiche, veniva ricoverata d’urgenza in ospedale.

Dopo aver disposto il ricovero,  i sanitari  con diagnosi di gravidanza trasferivano  la paziente  presso il reparto di ginecologia e ostetricia del medesimo nosocomio.

In seguito alla rottura delle membrane, veniva avviato monitoraggio mediante CTG, che evidenziava sofferenza fetale; la paziente veniva, dunque, condotta in sala parto e si procedeva a parto spontaneo.

Dava, così, alla luce un feto vivo in condizione di grave asfissia, per cui i sanitari procedevano a trasferirlo presso il reparto di terapia intensiva neonatale di un altro ospedale ; in seguito, però,  nonostante le cure, il neonato decedeva per “asfissia perinatale, grave-encefalopatia ipossico-ischemica”.

In sede di giudizio veniva accertata la grave l’imperizia e negligenza dei sanitari che non ebbero a riconoscere la grave sofferenza fetale dovuta all’ipossia del feto.

Secondo gli accertamento peritali,  ove fosse stato seguito correttamente il monitoraggio CTG, come previsto dalle principali linee guida, sarebbe stato, infatti, possibile evidenziare un crescente peggioramento delle condizioni fetali.

I sanitari invece, sottovalutando la gravità della problematica, non eseguivano intervento tempestivo ed adeguato che avrebbe evitato l’asfissia neonatale del piccolo.

In sede processuale, veniva accertata la responsabilità della struttura nell’evento occorso, il Tribunale di Velletri condannava l’ASL al pagamento in favore dei genitori del piccolo della somma di € 500.000,00  oltre interessi, spese di lite, spese documentate, rimborso forfettario, oneri fiscali e contributivi e spese CTU.

 

 

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