Diritto Penale

Stalking Giudiziario

Lo stalking giudiziario si configura come un’aggravante del reato di atti persecutori, disciplinato dall’art. 612 bis del codice penale, introdotto nel 2009 allo scopo di punire condotte reiterate lesive dello stile di vita della vittima, in passato inquadrate nella fattispecie giuridica della minaccia.

Stalking Giudiziario: Cos’è?

Esso si concretizza in una serie sistematica di azioni giudiziarie, civili e penali, prive di fondamento contro un determinato soggetto per i motivi più disparati (odio, rivalità, interessi economici).

Queste azioni generano nel perseguitato tre tipologie di danno:

  • Psicologico, poiché possono condurre ad uno stato d’ansia tale da modificare le sue abitudini quotidiane, fino a giungere ad un vero esaurimento psico-fisico;
  • D’immagine, in quanto ne può venire intaccata la sua autostima e la sua credibilità professionale;
  • Giudiziario.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3831 del 2017, ha cominciato timidamente a parlare di questa nuova tipologia di reato asserendo che “la valutazione di gravità indiziaria non è affermata soltanto sulla proposizione reiterata di denunce ed esposti – la cui concreta valutazione va rimessa all’apprezzamento del giudice di merito concernente i profili fattuali della vicenda – bensì su condotte ben più pregnanti.”

In parole povere si è riconosciuta la configurabilità del reato di atti persecutori perpetrati mediante un utilizzo degenerato dello strumento giudiziario a fini vessatori, con pretese fatte valere in giudizio che devono essere palesemente infondate e strumentali.

Nella fattispecie in esame la Corte d’Appello di Genova aveva confermato la condanna dell’imputato fatta dal giudice di primo grado per i reati di cui agli artt. 612 bis e 570 c.p., riducendo però la pena per il reato previsto dal secondo articolo in quanto commesso solo fino ad un determinato limite temporale.

L’imputato, separato dalla moglie dal 2002, aveva mantenuto verso la stessa un atteggiamento aggressivo e prevaricatore, generato da gelosia e malanimo nei suoi confronti.

Per questo, la tempestava di telefonate e messaggi, dove la ingiuriava e minacciava ripetutamente, e irrompeva sui luoghi da lei frequentati con intenti “controllanti”.

Inoltre, fino al luglio del 2013, non aveva versato l’assegno di mantenimento stabilito per l’ex coniuge ed il figlio minorenne.

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 570 c.p. con rinvio per un nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova.

stalking giudiziario

La sindrome da falsa vittimizzazione

In questa tipologia di reato si verifica un ribaltamento dei ruoli: il denunciante, che dovrebbe essere la “vittima”, diviene invece il carnefice, perché le sue false accuse mirano ad arrecare un danno alla persona ingiustamente incolpata.

Raramente si tratta di individui con problematiche psichiche, perché, nella maggior parte dei casi, la spinta a commettere stalking giudiziario è data da un desiderio di vendetta o di rivalsa.

Lo stalker può anche sentirsi legittimato a perseguitare qualcuno in virtù di un sentimento di “vittimizzazione” nei suoi confronti, cioè prova rancore o rabbia o è stato rifiutato.

Si parla in codesti casi di “identificazione proiettiva”.

Stalking Giudiziario: Procedibilità

La pena prospettata per lo stalking giudiziario è quella stabilita dall’art. 612 bis c.p., la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Trattasi di un illecito procedibile a querela di parte, il cui termine per la proposizione è sei mesi.

La querela può essere rimessa in sede processuale ma è irrevocabile se il fatto è stato compiuto con minacce reiterate nei modi di cui all’art. 612 comma 2.

La procedibilità è d’ufficio se il reato è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della Legge del 5 febbraio 1992 n.104, e ancora quando è commesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Come dimostrare lo stalking giudiziario?

Le prove dello stalking giudiziario, oltre alla palese infondatezza delle pretese avanzate, spaziano da screenshot di messaggi a tabulati telefonici e dichiarazioni testimoniali.

In particolare nel processo penale costituiscono prova le dichiarazioni della vittima se non contraddette da elementi esterni.

Anche i certificati medici fanno fede, pur potendosi desumere, secondo la Cassazione, lo stato di ansia e turbamento semplicemente da elementi sintomatici come la condotta tenuta dalla persona offesa dopo la commissione del reato.

Con la pronuncia n. 36994 del 2023 infatti, gli Ermellini hanno ripreso quando in precedenza sancito, vale a dire che “non si richiede l’accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima” (sentenze n. 839 del 2021 e 16864 del 2011).

Stalking giudiziario: esempi reali

In questo frangente la Corte ha sancito che è configurabile il reato di stalking giudiziario nei confronti del legale che “perseguita” ex clienti con numerose azioni civili per il pagamento di parcelle e denunce penali infondate.

Nel caso specifico, il Tribunale di Monza aveva condannato per atti persecutori alla pena di anni quattro di reclusione e cinque di interdizione dall’esercizio della professione un avvocato che aveva intentato più di 200 cause civili e penali nei confronti di una famiglia di imprenditori brianzoli.

La Corte d’Appello di Milano, confermando il giudizio di condanna per una parte ricorrente ma non per le altre, riduceva la pena detentiva ad anni due.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni assolutorie e l’ha rinviata per un nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello, condannando l’imputato al pagamento delle spese processuali e di rappresentanza sostenute dalle parti civili e alla somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

I giudici hanno tenuto inoltre a rimarcare come il disvalore della condotta dell’imputato è accentuato dal fatto che si tratta di un avvocato, perfettamente cosciente degli effetti che l’abuso dello strumento processuale determina sulla vita delle persone.

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La funzione deterrente della “lite temeraria”

Recentemente la giurisprudenza di legittimità, con la pronuncia n. 4853 del 2021, ha riconosciuto il collegamento del reato di stalking giudiziario con la funzione deterrente della cd. “lite temeraria” in ambito civilistico di cui all’art. 96 comma 3 c.p.c., che immette nell’ordinamento una specie di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie.

Al proposito la Suprema Corte, con la pronuncia n. 216667 del 2023, ha ribadito un principio già espresso in precedenza secondo cui, in tema di responsabilità processuale aggravata, la sola infondatezza dell’azione non costituisce circostanza di per sé sufficiente ai fini della pronuncia ex art. 96 c.p.c. , che concerne le sole ipotesi di abuso del diritto ad agire.

In particolare, il riconoscimento della suddetta responsabilità esige la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, consistente nella violazione del grado di diligenza che permette di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della pretesa ovvero il resistere in giudizio.

Il caso riguardava una sentenza del Tribunale di Firenze che aveva ritenuto non sussistente la responsabilità per lite temeraria dell’attore, il quale aveva agito per ottenere il pagamento dei proventi derivanti dalla locazione di un compendio immobiliare di cui era comproprietario, su cui la comproprietaria aveva operato una compensazione rispetto alla quota di pertinenza, decurtandone l’importo a titolo di spese di gestione.

I giudici hanno stabilito che il comportamento della parte convenuta era risultato nei limiti della resistenza in giudizio, senza ravvisare elementi riconducibili a mala fede o colpa grave.

Gli Ermellini hanno sancito che, per una condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., è necessario che essa sia motivata con completezza sufficiente a distinguere tra infondatezza e temerarietà, le quali, se sovrapposte, comprimerebbero il diritto di difesa dell’art. 24 Cost.

Invece la difesa è la sostanza del processo ed il suo abuso non è che una evidente e peculiare eccezione.

La configurabilità del reato in ambito penale

In campo penale le denunce devono essere ripetute, volte a vessare il soggetto incolpato e ad indurlo a modificare il proprio stile di vita.

Se si trattasse soltanto di una singola accusa infondata, si concretizzerebbe il reato di calunnia ex art. 368 c.p. (Cass., sentenza n. 11429 del 2020).

Nella pronuncia suddetta, la Suprema Corte si è espressa sull’ordinanza del 22 giugno 2020 del Tribunale di Milano,  che confermava il provvedimento del GIP del Tribunale di Monza nei riguardi dell’imputato, con cui gli si applicava la misura del divieto di esercizio dell’attività professionale di avvocato per la durata di un anno, in quanto indiziato del reato di atti persecutori per le incessanti ed infondate azioni giudiziarie intraprese in pregiudizio delle parti ricorrenti.

Gli Ermellini hanno dichiarato inammissibile il ricorso e condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali e alla somma di 3.000€ in favore della Cassa delle ammende.

La pluralità delle cause aperte dall’imputato al fine di molestare le parti in causa hanno portato a confermare la misura inflitta.

E’ stato infatti ritenuto rilevante che il titolo professionale e l’abilitazione all’esercizio della professione forense avessero costituito uno dei mezzi usati dall’avvocato per agire, quindi l’irrogazione del divieto cautelare era indispensabile per impedire la strumentalizzazione della qualifica, al di là del fatto che esso era facilmente aggirabile attraverso l’incarico ad altro professionista.

Sicuramente in tal caso è stato più semplice analizzare il dato quantitativo della fondatezza delle azioni giudiziarie perché il soggetto agente conosce la Legge e sono subito apparsi lampanti i ruoli di persecutore e vittima.

 

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