Risarcimento Danni da Responsabilità Medica
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Negligenza e risarcimento dei danni
La negligenza medica viene in essere quando alla condotta colposa o dolosa del medico consegue un danno per il paziente. Elise le fattispecie dolose (ossia di danno causato intenzionalmente), la più frequente ipotesi di responsabilità da negligenza medica è quella che consegue ad un errore.
L’errore medico consiste nella somministrazione di una terapia sbagliata, dovuta anche da una diagnosi non corretta, che implica un peggioramento delle condizioni di salute del paziente.
E’ l’errore che legittima il paziente a richiedere il risarcimento del danno ed il medico può correre il rischio di subire anche una sanzione penale. La richiesta di risarcimento va inviata al medico, alla struttura sanitaria e in caso di trattamenti presso una struttura pubblica anche all’Azienda Sanitaria Locale competente per territorio.
L’errore medico, viene in essere quindi, quando la scelta terapeutica procura al paziente non un beneficio bensì un danno, provocando un aggravamento delle già precarie condizioni di salute.
Il peggioramento può essere determinato in via immediata e diretta oppure quando, a seguito di un intervento inadeguato o sbagliato, viene contrastato il normale decorso della malattia.
Tanto può accadere sia quando ci si trova di fronte ad una operazione chirurgica compiuta in modo non corretto, ovvero in modo difforme rispetto agli standard di diligenza professionale, sia ad esempio, quando si prescrive la somministrazione di farmaci senza tenere conto di altre patologie sofferte dal paziente (allergia, diabete,ecc.) oppure quando l’assunzione di una specificata medicina presa in concomitanza ad altri farmaci può causare ulteriori complicazioni.
La casistica, è vasta e le conseguenze negative possono scaturire da:
- una diagnosi sbagliata;
- diagnosi ritardata, se il ritardo aggrava le condizioni di salute del paziente;
- omessa effettuazione di esami che avrebbero potuto chiarire le condizioni di salute del paziente
- intervento chirurgico errato;
- erronea gestione delle cure successive ad un intervento.
In tutte le ipotesi in cui può parlarsi di negligenza medica, il paziente vittima dell’errore può legittimamente chiedere il risarcimento dei danni: danno alla salute, rimborso delle spese sostenute, e quant’altro.
Risarcimento Danni da Responsabilità Medica
L’errore medico dà diritto al risarcimento di tutti i danni:
- Danno non patrimoniale: Danno biologico (lesione all’integrità psicofisica), Danno morale (sofferenza fisica e interiore), Danno esistenziale (per il peggioramento qualità della vita);
- Danno patrimoniale: Danno emergente – Danno per lucro cessante.
La vittima pertanto, per provare la negligenza e/o imperizia del medico , deve limitarsi a provare di essere stata in cura da “quel determinato medico” e che ha subito un danno alla propria salute, il peggioramento o mancato miglioramento.
Spetterà poi al medico dimostrare che ha agito secondo la diligenza professionale richiesta dal caso concreto e che il peggioramento dello stato di salute del paziente è dovuto ad un fattore eccezionale non imputabile alla sua condotta.
Nel caso di risarcimento danni da negligenza medica, la quantificazione dei danni si basa sulle tabelle inerenti i valori di liquidazione del danno non patrimoniale alla persona .
Il diritto al risarcimento si prescrive in 10 anni (art. 2946 c.c.), che decorrono da quando che il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.).
Il termine di prescrizione decennale inizia a decorrere da quando che la vittima è o può essere a conoscenza dell’evento (lesione alla sua salute) e del nesso causale, e cioè la riconducibilità di tale lesione all’inadempimento degli obblighi contrattuali, ovvero di non provocare un danno ingiusto (artt. 2043 e 2059 c.c.), così come precisato dalla Corte di Cassazione (SS.UU. 576 e 581 del 2008).
La prova della colpa grave
L’orientamento giurisprudenziale prevalente (risalente alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 589/1999 poi avallato, tra le altre, dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 577/2008) ha ritenuto applicabile alla materia della responsabilità medica la disciplina dettata dal codice civile agli artt. 1176 e ss del Codice Civile in tema di obbligazioni contrattuali (o di tipo contrattuale).
Per ottenere il risarcimento danni da negligenza, la vittima deve dimostrare la condotta inadempiente e scorretta del sanitario ed legame tra la condotta e il danno medico subito (il cosiddetto “nesso di causalità”) altresì che il medico ha agito con dolo o colpa grave e, quindi, con consapevolezza e volontà di arrecare un danno ovvero ha agito per errore, negligenza, imperizia o colpa.
Il comportamento del medico che colposamente ovvero, con negligenza, imperizia, imprudenza o dolosamente vale a dire intenzionalmente, procura al paziente un peggioramento delle sue condizioni di salute, dovrà non solo risarcire il danno, ma può integrare anche il reato di lesioni personali colpose ex art. 590 c.p. oppure, in caso di decesso del paziente il reato di omicidio colposo ex art. 589 c. p..
La legge 24/17 ha recentemente introdotto il nuovo reato di “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” ex art. 590 sexies c.p..
Se il sanitario causa la morte del paziente o gli determina lesioni personali, si applicano le pene oggi previste, rispettivamente, dagli artt. 589 e 590 c.p. per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose.
La responsabilità penale è esclusa in caso di evento dovuto a imperizia, è infatti esclusa la punibilità quando siano state rispettate le raccomandazioni commisurate caso concreto.
La colpa sussisterà con certezza quando si provi che l’errore professionale deriva una netta divergenza tra il comportamento tecnico che ha adottato il medico per il caso concreto rispetto alla maggioranza dei suoi colleghi di fronte allo stesso caso, soprattutto di fronte a casi di una certa complessità, ove il rischio è maggiore.
Allorché la colpa professionale sia addebitata all’imperizia, si deve ritenere generalmente valido il principio stabilito dall’art. 2236 c.c. secondo il quale “se la prestazione indica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo o colpa grave”.
La Corte di Cassazione ha precisato al riguardo e che la “speciale difficoltà” sussiste ogni volta che la perizia richiesta per la soluzione di quel certo caso trascende i limiti di quella che si esige dal professionista medio, poiché quel caso presenta caratteristiche eccezionali non adeguatamente studiato dalla scienza medica o perché pone in essere sistemi e metodi diagnostici, terapeutici o chirurgici dibattuti e incompatibili.
Il medico, non potrà essere mai giustificarsi, se la colpa rileva da negligenza.
Imprudente è il medico che mostra di non tener conto dei rischi cui espone il proprio assistito e si dimostra incapace di prevederli e dunque di prevenirli. Negligente è il medico che mostra col suo comportamento trascuratezza, disinteresse e superficialità nei confronti dell’assistito, che omette, senza giustificato motivo o ragione, di fare quegli accertamenti o di attuare quelle terapie che la maggioranza dei suoi colleghi nelle medesime condizioni avrebbe attuato.
Diligenza generica e specifica
L’obbligazione del medico è, una obbligazione sia di mezzi che di risultato, e si sostanzia sia dall’obbligo di diligenza che dall’obbligo di informazione del paziente.
Non esiste nessuna norma di legge che comprenda una distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato in caso di negligenza medica.
Il risultato non consiste unicamente nella guarigione del paziente, ma anche nel fornire al paziente tutte le cure dovute per debellare la patologia sofferta considerati sia il livello della scienza che della tecnica in un determinato settore, dell’età del paziente e della specifica difficoltà dell’intervento. (Sezioni Unite Corte di Cassazione, n. 577/2008).
Il medico è obbligato ad una diligenza professionale qualificata, maggiore di quella richiesta per l’uomo medio (la c.d. diligenza del buon padre di famiglia. Infatti, l’art. 1176, comma 2, c.c., recita: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”).
La Corte di Cassazione, con una sentenza n. 17143/2012, ha precisato che con riferimento al medico, occorre distinguere tra una diligenza professionale generica (richiesta al medico di base o medico generale) ed una diligenza professionale specifica (richiesta al medico specializzato in un determinato settore).
Quindi, se un paziente riporta una frattura e viene sottoposto alle cure di un medico di base, da quest’ultimo si pretenderà una diligenza sicuramente minore rispetto a quella richiesta ad un ortopedico. In tema di obbligazione medica, vige l’obbligo della diligenza, prudenza e perizia (art. 1176 II comma c.c.), al fine di perseguire il miglior risultato per il paziente.
Riassumere in poche righe l’evoluzione ed i traguardi in materia di malasanità e risarcimento danno risulta un’impresa ardua. L’orientamento giurisprudenziale prevalente (risalente alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 589/1999 poi avallato, tra le altre, dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 577/2008) ha ritenuto applicabile alla materia della responsabilità medica la disciplina dettata dal codice civile agli artt. 1176 e ss del Codice Civile in tema di obbligazioni contrattuali (o di tipo contrattuale).
Negligenza medica negli interventi di routine e negli interventi difficili
In tema di obbligazione medica, come ampiamente precisato, vige l’obbligo della diligenza, prudenza e perizia (art. 1176 II comma c.c.), al fine di perseguire il miglior risultato per il paziente.
Dottrina e giurisprudenza hanno distinto: interventi difficili ed interventi facili o di routine.
In caso di errore sanitario in intervento facile o di routine, il medico risponde anche a titolo di colpa generica e di colpa lieve, mentre in caso di intervento difficile, il medico incorre in responsabilità solo in caso di dolo o colpa grave.
Ad esempio in caso di errore in intervento di chirurgia estetica, il medico è gravato di un obbligo di risultato puro e semplice. Si possono annoverare tra i casi più frequenti le seguenti fattispecie: 1) Trattamento di chirurgia estetica (Cass. Civ., Sez. III, n. 10014/94); 2) Trapianto di capelli (Tribunale di Roma, sentenza del 23.12.1996); 3) Sterilizzazione (Cass. civ. Sez. III, n. 9617/1999);4)-Cure odontoiatriche (Tribunale di Genova, sentenza del 15.04.1993).
Dobbiamo distinguere infine in due tipologie di responsabilità:
- Medico-ospedaliera, che risponde nei confronti dei pazienti sempre a titolo extracontrattuale ex art. 2043 c.c.: l’azione potrà essere esperita entro il termine prescrizionale massimo di cinque, salvo interruzioni.
- Ipotesi in cui il paziente si rivolga nei confronti della struttura sanitaria o del medico che ha agito in adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta espressamente nei suoi confronti, il termine per agire, sempre salvo interruzioni, è di dieci anni, considerato anche che la legge Gelli ha ritenuto che in tali casi si ricade nell’ambito della responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano, anche con riguardo ai tempi di prescrizione.
Obbligo di informazione / consenso informato
l rapporto che intercorre tra medico e paziente è a tutti gli effetti un contratto e va quindi applicata la disciplina sul rapporto contrattuale anche in assenza di un contratto scritto (art. 1218 c.c.).
Anche in assenza di un contratto scritto, il medico è obbligato a tenere una condotta attiva ed adempiente al dovere di non causare nessun danno, in virtù di un c.d. “contatto sociale qualificato”, che concepisce doveri di tutela del medico verso il paziente senza che sia indispensabile un contratto.
Ipotesi diffusa nella prassi, si ha quando il paziente solitamente stipula un contratto di assistenza con una struttura sanitaria presso cui lavora il medico che lo prenderà in cura, che si obbliga formalmente a garantire alloggio, vitto, servizi e infermieristici e la custodia del paziente stesso.
Logicamente, la vittima potrà agire per il risarcimento danni, sia nei confronti della struttura sanitaria, pubblica o privata, che del medico che lo ha preso in cura all’interno della stessa.
E’ opportuno chiarire e precisare che il paziente non potrà essere risarcito due volte per lo stesso fatto poiché il risarcimento danni medici in tutte le sue fattispecie , esaurisce la pretesa risarcitoria.
L’obbligo di informativa è sempre a carico del medico in virtù della natura contrattuale della responsabilità medica, anche senza formale contratto con il paziente. Questo obbligo definisce tutte le fasi del rapporto tra medico e paziente: quella preventiva, esecutiva della somministrazione della cura e quella successiva all’intervento medico.
Il medico pertanto, è tenuto ad informare il paziente sia durante la fase della diagnosi ove sono indicate le terapie da seguire, gli effetti svantaggiosi, vantaggiosi e collaterali, che ne possono scaturire, nonché le probabilità di successo nonchè cure alternative.
L’obbligo di informazione è finalizzato al soddisfacimento del diritto al consenso informato del paziente nei confronti del medico, che consiste nel far acquisire al paziente tutte le informazioni necessarie al fine di scegliere in modo consapevole e libero se sottoporsi o meno ed in quali termini ad un determinato trattamento terapeutico e di autodeterminarsi in completa autonomia nella decisione inerente la propria salute.
In passato, la violazione dell’obbligo di informazione da parte del medico costituiva causa di risarcimento danno malasanità, solo nel caso in cui si fossero verificati danni alla salute del paziente in seguito a errore medico, ma il paziente non veniva tutelato adeguatamente.
La più recente giurisprudenza ha chiarito definitivamente che la violazione dell’obbligo di informazione costituisce autonoma fonte di responsabilità in tutti i casi in cui dall’intervento scaturiscano effetti lesivi per il paziente, indipendentemente dal fatto che l’intervento sia stato eseguito correttamente e diligentemente.
Quindi è sicuramente negligente il medico che abbia somministrato un antidepressivo al paziente, senza averlo preventivamente informato delle conseguenze cui quest’ultimo sarebbe andato incontro in termini di aumento di peso o di aumento del tasso di sonnolenza.
Quanto alla prova che deve fornire il paziente in un giudizio civile in cui contesti al medico responsabilità per violazione del consenso informato, non sarà il paziente a dover dimostrare che non è stato preventivamente informato, ma è il medico che deve fornire la prova di aver informato il paziente, attraverso l’esibizione di moduli prestampati di consensi informati debitamente sottoscritti.
Detta sottoscrizione non esonera il medico dal fornire al paziente le informazioni adeguate verbali, che tengano conto del livello intellettuale e grado di scolarità del paziente destinatario della cura. Conseguentemente, il paziente vittima di un caso di malasanità per negligenza potrà agire per ottenere il risarcimento del danno imputabile dalla Struttura Ospedaliera (e/o dai medici in essa operanti) facendo valere l’inadempimento degli obblighi accettati in forza del così detto “contratto di ospedalità”.
Quindi per potere conseguire il giusto risarcimento, il danneggiato dovrà provare solamente l’esistenza documentale del c.d. contratto di ospedalità altresì che l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie è subentrata per effetto del trattamento sanitario subito.
Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in 10 anni che, decorre dal momento in cui il paziente discerne con la dovuta diligenza il danno come “ingiusto” e quale conseguenza del comportamento negligente.
La quantificazione economica del danno non patrimoniale, è stabilita da Tabelle che dettano parametri per monetizzare il danno patito anche nei casi più gravi, a seguito della morte di un prossimo congiunto (marito, moglie, madre, padre, figli, fratelli o nipoti).
Si evidenzia ancora che, a seconda del caso concreto, a una voce di danno se ne possono aggiungere anche altre tra cui, ad esempio: il danno da perdita della capacità lavorativa, oppure il danno patrimoniale consistente nella necessità di assumere farmaci costosi o di sottoporsi a cure suppletive/interventi riparatori particolarmente onerosi ecc… .
Legge Gelli: breve disamina
La legge n. 24 dell’ 8 marzo 2017 (c.d. Legge Gelli) ha apportato una vera e propria rivoluzione in materia di responsabilità civile e penale del medico e della struttura sanitaria.
L’obiettivo principale della riforma è quello di ridurre il contenzioso in materia di c.d. malpractice medica, nonché di garantire ai pazienti vittime di casi di malasanità risarcimenti più sicuri ed in tempi più brevi.
La nuova legge prevede che il medico che provoca un danno a un paziente non è punibile penalmente nel caso in cui abbia rispettato le linee guida o le buone pratiche assistenziali. Quindi l’errore del medico causato dalla sua mancanza di abilità, preparazione, negligenza verrà punito penalmente solo in caso di colpa grave.
La sicurezza alla salute, assume rilievo e protezione costituzionale ai sensi dell’art. 32 Cost., principio ricalcato dall’art. 1,: “la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute”.
La novella legislativa, infatti, ha abrogato l’art. 3 della legge Balduzzi ed ha inserito nel codice penale il nuovo art. 590-sexies, in base al quale il sanitario che si è comportato in modo conforme alle linee guida non è più sottoposto a sanzioni penali per colpa lieve, ma viene punito solo in caso di colpa grave.
All’art. 5 la legge Gelli prevede che un Decreto del Ministero della Salute dovrà fornire un’elenco completo delle buone pratiche e linee guida, inserito nel Sistema nazionale (SNLG).
All’art. 7 è stato introdotto il cosidetto “doppio binario” della responsabilità civile. Mentre, infatti, la responsabilità della struttura sanitaria, pubblica o privata, ha natura contrattuale (art. 1218 c.c.), quella del medico, salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, è di natura extracontrattuale (art. 2043 c.c.).
L’art. 6 invece specifica, cosa debba intendersi per colpa grave: “È esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge”.
Viene poi precisato anche che la non punibilità penale come ora delineata riguarda solamente i reati di omicidio colposo e lesioni colpose.
Altra rilevante conseguenza che trae origine da questa nuova bipartizione della responsabilità riguarda l’onere probatorio. Mentre, infatti, nelle cause avverso la struttura sanitaria il paziente dovrà provare solamente l’assunzione dell’obbligazione da parte dell’ospedale ed il relativo inadempimento; nelle azioni giudiziarie contro il singolo medico l’onere probatorio che incombe sul danneggiato risulta ben più grave, dovendo dimostrare non solo l’elemento oggettivo (condotta, evento e nesso di causalità), ma anche l’atteggiamento colposo del medico.
L’art. 10 impone alle strutture sanitarie di dotarsi di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e verso i prestatori d’opera, anche per danni provocati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture stesse. La garanzia assicurativa deve poi prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto di assicurazione, purché denunciati all’impresa assicurativa durante la vigenza temporale della polizza.
In caso di cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa deve essere previsto un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura. Questa ultrattività viene estesa anche agli eredi e non può essere assoggettata alla clausola di disdetta.
L’art. 8, al fine di favore una risoluzione stragiudiziale delle controversie, introduce l’obbligo di esperire un tentativo di conciliazione.
All’art. 9 la legge Gelli prevede che l’azione di rivalsa nei confronti del sanitario può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave. Se il sanitario non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l’azione di rivalsa nei suoi confronti deve essere esperita, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto pagamento prima di rivolgersi alle competenti autorità giudiziarie.
Importante novità, all’art. 2 è la figura, il Garante per il diritto alla salute: si tratta di un organo cui i cittadini potranno rivolgersi gratuitamente, anche in via anonima, per segnalare eventuali malfunzionamenti.
Le strutture sanitarie, sia pubbliche che private, ai sensi dell’art. 4 sono sottoposte all’obbligo di trasparenza delle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private come previsto dal D. lgs. n. 196/2003 in materia di protezione dei dati personali. La direzione sanitaria dovrà, quindi, fornire in tempi rapidi la documentazione sanitaria relativa al paziente; inoltre le strutture sanitarie dovranno anche pubblicare sui propri siti web i dati relativi ai risarcimenti erogati negli ultimi cinque anni. Le strutture sanitarie, hanno l’obbligo fornire ai pazienti che ne fanno richiesta tutta la medica documentazione entro sette giorni.
L’ultima ma non meno importante novità di cui alla legge n. 24/2017 riguarda la creazione di un Fondo di Garanzia, il quale provvederà a risarcire i pazienti per i danni cagionati da responsabilità sanitaria nel caso in cui:1) il danno risulti eccedente rispetto ai massimali previsti dai contratti di assicurazione stipulati dalla struttura sanitaria o dal medico;2) la struttura sanitaria o il medico risultino assicurati presso un’impresa al momento del sinistro o successivamente si trovino in stato di insolvenza o di liquidazione coatta amministrativa;3) la struttura sanitaria o il medico non abbiano una copertura assicurativa per eccesso unilaterale dell’impresa assicuratrice oppure per sopravvenuta inesistenza o cancellazione dall’albo dell’impresa assicuratrice stessa.
Il Fondo è alimentato attraverso il versamento, da parte delle imprese assicuratrici, di un contributo annuale.
Con questa breve disamina, si spera di avere sopperito ad alcuni interrogativi e fornito avvertimenti pratici alle “vittime” che sfortunatamente subiscono danni da negligenza medica!