Diritto del Lavoro

Mobbing dell’insegnante da parte del Preside

Cos’è il mobbing?

Da qualche anno, il termine “mobbing” è entrato a far parte del nostro lessico quotidiano per indicare tutta una serie di comportamenti denigranti ripetuti nel tempo nei confronti di un soggetto, in particolar modo sul posto di lavoro.

Il mobbing può essere di tipo “verticale”, il cosiddetto “bossing”, quando viene messo in atto da un superiore gerarchico nei confronti dei subalterni, o di tipo “orizzontale” nel caso in cui la vittima sia un pari grado dell’aguzzino.

In cosa consiste il mobbing del Preside nei confronti dell’insegnante

Alla prima fattispecie è ricondotto lo “school bossing”, cioè l’atteggiamento molesto o ostile del Preside verso un insegnante perpetrato con un evidente abuso del suo potere al fine di emarginarlo e sminuirlo. Un fenomeno questo che è tristemente in crescita e che è tra le cause dei problemi strutturali ed erariali dell’universo scolastico.

In concreto esso si esplicita in azioni volte a “massacrare psicologicamente” il malcapitato, come offese e critiche continue, deliberata mancanza di comunicazioni importanti, esclusione da incontri professionali, controllo eccessivo, assegnazione di mansioni inferiori alle qualifiche o svuotamento delle stesse, somministrazione di sanzioni ingiustificate, emarginazione sociale.

Tutte cose che vengono ad intaccare il rendimento lavorativo e la qualità della vita dell’insegnante, minando la sua salute fino a sprofondare addirittura in uno stato depressivo cronico.

A tal riguardo il 28 maggio scorso il Tribunale di Savona ha condannato al risarcimento per danno da mobbing un Dirigente Scolastico per aver adottato comportamenti reiterati, provocatori ed ingiustificatamente offensivi nei confronti di una docente, in seguito ai quali Ella aveva sviluppato “una sindrome depressiva, accertabile a livello medico-legale, atta ad incidere negativamente sulla sua integrità psico-fisica.

Il Dirigente avrebbe ripetutamente alzato la voce contro l’insegnante e screditato la sua competenza di fronte agli altri docenti e agli alunni, abusando apertamente della propria posizione dirigenziale con condotte “idonee per loro natura a rendere l’ambiente lavorativo fonte di un  ingiusto stress in capo al lavoratore”.

In sintesi, un “atteggiamento demolitorio” che giustifica la condanna per mobbing. In via equitativa, il giudice ha quantificato in euro 18.188,00 il danno non patrimoniale, oltre alla refusione delle spese processuali.

mobbing del preside sull'insegnante

Elementi costitutivi del mobbing verticale

Per poter parlare però di mobbing verticale occorre la presenza di specifici elementi costitutivi chiariti dalla Cassazione Civile, sez. Lavoro, con la sentenza n. 17698 del 2014:

  1. Condotte vessatorie mirate e protratte nel tempo (almeno sei mesi) da parte del superiore nei confronti del subalterno;
  2. Tali condotte devono produrre danni di natura psicofisica dimostrabili;
  3. Nesso di causalità tra le condotte in oggetto e il pregiudizio subito dalla vittima;
  4. L’intenzione persecutoria alla base delle condotte mobbizzanti.

Casi Reali di Mobbing del Preside nei confronti dell’insegnante

Elementi questi ritenuti non sussistenti dal Tribunale di Rovigo nella sentenza n. 114 del 2021, riguardante una docente di una scuola superiore che aveva denunciato per mobbing il Preside poiché avvertiva un atteggiamento persecutorio nei suoi confronti.

Nel dettaglio, l’insegnante faceva riferimento ad una serie di atti posti in essere dall’uomo per estrometterla dalla struttura organizzativa con il chiaro intento di “perseguitarla e demolirne la personalità e professionalità “: la modifica dell’orario lavorativo di 12 ore settimanali distribuito su quattro giorni e non su tre come era in precedenza; l’adozione di tre procedimenti disciplinari in seguito a rimostranze di alunni; la sostituzione arbitraria dei voti proposti per gli studenti al momento degli scrutini e l’emarginazione di colleghi che avevano appoggiato gli allievi.

Secondo i giudici, perché si configuri il mobbing, occorre allegare reali ed inattaccabili elementi che provino il disegno persecutorio del Dirigente Scolastico, dimostrazione che nella causa in oggetto manca.

I provvedimenti adottati altro non sono che la naturale conseguenza dei rapporti tesi e conflittuali instaurati dalla docente con colleghi e allievi, quindi trovano la loro giustificazione nello svolgimento del ruolo di titolare del potere organizzativo e disciplinare dell’istituto del Preside.

La stessa Corte di Cassazione si era in precedenza espressa per la latitanza dei requisiti della fattispecie lamentata in merito alla richiesta di risarcimento danni per mobbing contro il Dirigente Scolastico da parte di un insegnante affetto da sindrome ansioso-depressiva (sentenza n. 27110 del 15 novembre 2017). Anche in codesta circostanza non era stato possibile ravvisare una vessazione volta a nuocere al docente, le cui doglianze sono apparse spropositate rispetto alla realtà dei fatti.

Con la sentenza n. 16580 del 2022 la Corte d’Appello di Caltanissetta ha ribaltato una pronuncia di primo grado che condannava un Preside per un’ipotesi di falso a danno di un’insegnante.

Con l’assoluzione in sede penale, la Corte ha però statuito che, pur non essendo ravvisabili nella condotta del soggetto gli estremi del mobbing vero e proprio, sono invece configurabili quelli dello “straining“.

Si tratta di una tipologia illecita più lieve del mobbing, con elementi che per caratteristiche, gravità, frustrazione professionale e personale portano alla creazione di condizioni lavorative stressogene atte a ledere il diritto alla salute costituzionalmente tutelato.

Il Dirigente Scolastico, dopo aver concesso un giorno di permesso retribuito e tre di ferie, avrebbe revocato la disposizione irrogando addirittura una sanzione disciplinare. La ricorrente ha quindi potuto agire in sede civile, dove il danno da risarcire è stato liquidato in euro 10.000.

A chi spetta provare il mobbing

L’onere di “provare” il mobbing, mostro spesso subdolo e silenzioso, spetta quindi all’insegnante, che il più delle volte non sa nemmeno da dove cominciare, motivo per il quale risulta fondamentale l’aiuto di un avvocato.

Per presentare una denuncia occorre difatti portare prove concrete a sostegno delle proprie parole, quali possono essere testimonianze di colleghi o persone presenti durante episodi specifici, scambi di e-mail, sms o altri scritti tra i soggetti coinvolti, e persino registrazioni di conversazioni tra Preside e docente nel luogo di lavoro, se effettuate entro certi limiti.

Sulla base di quanto fornito, il giudice preposto potrà dedurre anche in via presuntiva l’effettiva esistenza di un danno derivante da mobbing.

Come si stabilisce il risarcimento per danno da mobbing

Tale danno, quando riconosciuto, viene indennizzato, in mancanza di una normativa specifica, sulla base dell’art. 2087 c.c., che impone l’obbligo al datore di lavoro, in questo caso il Preside, di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore dipendente (l’insegnante), al fine di garantirne la salute, la dignità ed i diritti fondamentali di cui agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione (sentenza  Cass. n. 18927 del 2012).

Inoltre, alcune forme particolarmente gravi di atti persecutori potrebbero giungere ad integrare persino veri e propri reati del Codice Penale, quali ad esempio l’offesa all’ incolumità individuale, all’onore e alla libertà personale e morale (artt. 323, 582, 590, 610, 612 e 660).

A tal proposito la Cassazione, con la sentenza n. 33624 del 2007 ha sancito che il delitto previsto dall’art. 572 c. p. è la figura maggiormente prossima ai connotati del mobbing.

La vicenda riguardava un preside di un istituto d’Arte accusato da un’insegnante di sostegno di continue e ripetute condotte persecutorie discriminatorie, in particolare attraverso ingiurie e diffamazioni, che avrebbero comportato un indebolimento permanente della funzione psichica consistente nell’alterazione del tono dell’umore.

La ricorrente agiva quindi per richiedere la condanna del superiore per mobbing e per il reato previsto dall’art. 572 c.p. (Maltrattamenti in famiglia), ritenuto applicabile anche per il caso di maltrattamenti realizzati da una persona dotata di autorità nei riguardi di un’altra affidata a questa per l’esercizio di una professione o di un’arte.

Secondo il Gup del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, nella fattispecie non era riscontrabile alcuna lesione grave in capo all’insegnante per il semplice fatto di aver subito un’alterazione del tono dell’umore, e per la difficoltà di individuare atti specifici a cui ricollegare causalmente la malattia.

I giudici della Quinta Sezione della Cassazione, investiti del ricorso, hanno sancito che, sebbene la condotta di mobbing possa essere riportata all’interno del delitto di cui all’art. 572 c. p., nel caso in vertenza ci si trova dinanzi ad una reiterazione di comportamenti riferiti “ad azioni in sé prive di potenzialità direttamente lesiva dell’integrità della vittima o prive di riscontri di esiti obiettivamente dimostrabili.”

Per suddette motivazioni, assolvono il Preside dalle accuse.

Origini del mobbing nella scuola

Ma da cosa nasce questa figura in costante ascesa?

Sembrerebbe che le sue radici siano da ritrovare nella riforma Brunetta del 2009, che ha esponenzialmente aumentato i poteri decisionali assegnati ai Presidi.

Questi ultimi, sullo sfondo dell’alibi della tutela del buon andamento del plesso assegnato, possono infatti decidere a loro discrezione della vita professionale dei docenti presenti arrivando anche a sospenderli dal servizio per dieci giorni, cosa che ha portato i sindacati sul piede di guerra per contrasto coi principi della nostra Costituzione.

Gli insegnanti purtroppo non hanno grandi strumenti per difendersi dai suddetti poteri, sovente usati arbitrariamente. In seguito ad una contestazione è possibile solamente opporre una memoria difensiva, che il Preside può benissimo ignorare. Il tribunale del lavoro potrebbe essere una soluzione migliore nel caso di sanzioni disciplinari ingiuste, ma le spese legali non proprio esigue e l’aleatorietà dei verdetti portano di frequente a soprassedere.

I sindacati alcune volte si accollano i costi giudiziari però non si può farvi un affidamento sicuro.

Perciò molti insegnanti, nel momento in cui iniziano a lavorare fanno delle convenzioni con studi legali per avere consulenze ed eventualmente un’assistenza difensiva se si ravvisasse la necessità di denunciare comportamenti scorretti all’USR, l’autorità scolastica o alla Procura della Repubblica.

 

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