Diritto Civile

Risarcimento Danni Errata Diagnosi Medica

Cosa si intende per errata diagnosi medica?

L’ errata diagnosi fatta da un esercente la professione sanitaria  ad un paziente, il quale si è rivolto ad una struttura sanitaria, a seguito di una sintomatologia oppure per svolgere esami routinari, può cagionare danni a volte anche irreversibili.

Risarcimento Danni Errata Diagnosi Medica

risarcimento danni errata diagnosi medica

Nell’affrontare gli eventuali profili di responsabilità civile e penale in capo all’esercente della professione sanitaria o della struttura in cui opera il medico conseguenti all’errata diagnosi, si rende,  preliminarmente,  necessario enucleare le ipotesi in cui può configurarsi un’errata diagnosi.

In particolare, si parlerà di errore medico, nelle seguenti ipotesi:

–  qualora il medico somministri una cura terapeutica sbagliata al paziente procurandogli un danno invece che un beneficio;

– qualora il medico diagnostichi una patologia inesistente o diversa da quella posseduta dal paziente;

– qualora il medico a seguito di un intervento sbagliato, non adotti le cure idonee per impedire la latenza della malattia;

– quando il medico interpreti erroneamente i risultati di  test diagnostici o non provveda, ove ce ne fosse bisogno, ad effettuare ulteriori accertamenti clinici;

Al riguardo, la giurisprudenza di merito ha statuito che in tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi della malattia, non si riesce a  inquadrare il caso clinico o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli o accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi.

Si pensi, ad esempio, al caso in cui il  medico sottovaluta i sintomi del paziente omettendo ulteriori accertamenti, e poi  successivamente si viene a scoprire che il paziente  presenta metastasi tumorali diffuse.

Ebbene, in tale ipotesi, la negligenza del medico nel non disporre gli ulteriori accertamenti, all’uopo necessari, potrebbe cagionare conseguenze dannose al paziente, fino a procurargli la morte.

Oppure, si pensi a casi in cui il medico erroneamente diagnostichi al paziente una malattia inesistente (ad esempio una patologia immunologica); in questo caso il paziente dovrebbe essere risarcito dei danni morali per aver subito un inutile stato di ansia.

Il paziente può agire per ottenere il risarcimento dei danni nei confronti della struttura ospedaliera?

In passato seguendo l’orientamento predominante della Corte di Cassazione, si propendeva per il cd cumulo delle responsabilità contrattuali, sia in capo alla struttura ospedaliera che in capo al personale medico; tale impostazione, tuttavia, non garantiva al meglio, sotto i profili della tutela risarcitoria, il paziente danneggiato da un errore medico.

Inoltre, accadeva che molti medici negligenti non rispondessero delle loro condotte, poiché, in virtù del rapporto di servizio medico/struttura, la responsabilità civile si configurava solo in capo alla struttura in cui, l’operatore espletava le sue mansioni. È chiaro che una simile impostazione non faceva altro che legittimare e aumentare esponenzialmente i casi di malasanità, comportando, altresì una aggravio dei costi sulla spesa pubblica.

Successivamente, con  l’avvento della riforma Gelli – Bianco ( che ha modificato la previgente legge Balduzzi), si è andati ad incidere profondante sul sistema di responsabilità civile nei casi di errore medico.

L’ art. 7 della L 8 marzo del 2017 n. 24, ha reintrodotto il cd sistema del doppio binario, per quanto concerne i profili della responsabilità civile sia in capo alla struttura ospedaliere sia in capo  al personale medico, superando il cumulo delle responsabilità contrattuali secondo il vecchio orientamento della giurisprudenza di legittimità. (Cass. sent. n. 589 del 1999)

Difatti, con l’art. 7 della l 24/2017 la responsabilità degli esercenti la professione sanitaria torna ad essere una responsabilità  aquiliana o extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., mentre, per contro, la responsabilità della struttura ospedaliera si configura come responsabilità ex. art. 1218 e 1228 c.c..

Il fondamento della suindicata norma va individuato nel  consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale “ il paziente instaura con la struttura ospedaliera, anche privata, un rapporto di tipo paritetico di natura contrattuale, a maggior ragione quando si parla di contratto di spedalità, ove alla prestazione principale, quella di assistenza, si aggiungono prestazioni accessorie (es: servizi infermieristici e sistemazione logistica)”.

È evidente, che l’impostazione di un doppio binario in merito ai profili della responsabilità civile per ottenere il ristoro dei danni conseguenti ad un errata diagnosi, non può che comportare delle rilevanti tutele per il paziente leso.

Ne discende, in particolare, che riconoscere in capo alla struttura sanitaria una responsabilità contrattuale, significa alleggerire il danneggiato degli oneri probatori; è noto, infatti, che l’onere della prova, nell’ambito di un sistema di responsabilità contrattuale si sposta in capo all’operatore sanitario, mentre il paziente deve dimostrare il dolo di quest’ultimo.

Orbene, se, come detto, ai sensi dell’art. 7 della l 24/2017 la struttura ospedaliera risponde ai sensi degli artt. 1218 c.c. e 1228 c.c., al paziente danneggiato (creditore) spetterà, secondo la logica del sistema di responsabilità contrattuale, la prova dell’esistenza dell’obbligazione ed il suo oggettivo inadempimento; mentre alla struttura ospedaliera (debitore) spetterà, ove voglia andare esente da responsabilità, che l’inadempimento è derivato da causa ad essa non imputabile.

In buona sostanza, il paziente danneggiato dall’errata diagnosi dovrà in primis indirizzare la richiesta risarcitoria alla struttura, pubblica o privata, che fornisce le prestazioni sanitarie e che si avvale di personale medico, anche esterno; per le loro condotte colpose e dolose, la struttura risponderà ex art. 1228 c.c..

Ne discende, in sintesi, che il riconoscimento in capo alla struttura ospedaliera di una forma di responsabilità contrattuale, comporterà in capo al danneggiato, oltre meno oneri probatori, i vantaggi, in termini di prescrizione dell’azione; come di seguito elencati:

-prescrizione decennale:

– onere della prova a carico del debitore;

In conclusione, al paziente danneggiato sarà sufficiente essersi rivolto alla struttura sanitaria o aver stipulato con la stessa un contratto, e, per l’effetto,  aver subito un danno; mentre, la struttura ospedaliere dovrà dimostrare, per evitare condanne, che il personale medico abbia agito secondo le linee guida accreditate dalla scienza medica.

E’ possibile esperire un’azione risarcitoria direttamente nei confronti del sanitario?

In subordine, il  paziente che abbia subito un danno per errore diagnostico, potrà, anche in via cumulativa invocare la responsabilità diretta del sanitario che ha  commesso l’errore: ma la sua responsabilità in base alla legge sarà di natura extracontrattuale.

Sicché, l’art. 7 comma 2 della l 24/2017, sancisce il ritorno della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria nel novero dell’illecito aquiliano; tale disposto normativo va ad armonizzare il sistema della responsabilità civile medica, lasciato incompleto dal precedente decreto Balduzzi.

Il dato testuale dell’art. 7 ,comma 3, prevede che “l’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’art.2043 c.c., salvo che il medico abbia agito nell’adempimento di obbligazioni contrattuali assunte con il paziente”.

Al fine di poter inquadrare le situazioni tipo in cui si potrebbe qualificare il rapporto medico-paziente dal punto di vista contrattuale, in assenza di uno schema negoziale formale, potenzialmente ripiegano sulle regole del consenso informato.

Quindi, a titolo esemplificativo, quando il medico viene scelto dal paziente, o vi è una preparazione all’intervento sulla falsariga della trattativa ex art 1337 c.c. o un rapporto che prosegue nel tempo con plurime visite e ripetuti contatti (si pensi al medico generico, al ginecologo del consultorio).

Diversamente in situazioni critiche o di emergenza, in cui il paziente giunge in struttura non pienamente conscio, pacificamente dovrebbe trovare spazio la regola dell’illecito aquiliano.

Per quanto concerne i profili di responsabilità extracontrattuale, l’onere della prova in capo al paziente sarà ben più gravoso, come anche i termini prescrizionali che si riducono, a differenza della responsabilità contrattuale (dieci anni), a 5 anni per l’illecito ex art. 2043 c.c..

Ne discende, in buona sostanza, che il danneggiato sarà tenuto a dimostrare:

– il dolo o la colpa del sanitario;

– il nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento dannoso

– l’ingiustizia del danno.

Diversamente, spetterà all’esercente  la professione sanitaria, ove intenda andare esente da eventuali profili di responsabilità  civile, dimostrare di aver seguito le linee guida accreditate dalla miglior scienza medica, che queste si conformino al caso sub specie, o che in assenza di linee guida il medico abbia seguito le normali regole clinico-assistenziali dettate dal sapere scientifico.

 

E’ esperibile un’azione diretta nei confronti dell’assicurazione?

Un altro aspetto innovativo della riforma è la possibilità per i danneggiati di poter esperire azione diretta nei confronti dell’impresa assicuratrice ai sensi dell’art. 12 della l 24/2027.

L’azione diretta sul piano processuale è collegata, sotto il profilo sostanziale, all’impossibilità per l’assicuratore di opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto.

Mentre, il sanitario è definito litisconsorte necessario, poiché l’accertamento della responsabilità non può che avvenire in contraddittorio tra le parti.

In quali casi è ammissibile l’azione di rivalsa da parte della struttura sanitaria?

L’art. 9 della l 24/2017 delimita le ipotesi in cui è ammissibile l’azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti dell’esercente, alle seguenti condizioni: 1. è ammessa solo nei casi di dolo o colpa grave del medico; 2. può essere esercitata nei confronti dell’esercente la professione sanitaria che non sia stato causa del giudizio o della procedura stragiudiziale solo successivamente al risarcimento  avvenuto sulla base titolo  stragiudiziale o  titolo giudiziale; 3. deve essere esercitata, a pena di decadenza, entro l’anno dell’avvenuto pagamento.

Quali sono i profili della responsabilità penale del medico?

La condotta del sanitario non dà luogo solo a conseguenze di tipo risarcitorio, ma ben potrebbe configurare gli estremi di un illecito penale.

Conseguentemente, il sanitario potrebbe rispondere sia a titolo di colpa ( negligenza, imprudenza e imperizia): si pensi, alle fattispecie di lesioni colpose (589 c.p.) o  di omicidio colposo, quando l’errore medico cagioni la morte del paziente (589 c.p.); sia a titolo di dolo: si pensi ai reati di lesione personale (art. 582 c.p.) e di omicidio (art. 575 c.p.) .

Con riguardo alle fattispecie colpose, va precisato che la l 24/2017 ha introdotto una nuova fattispecie di reato intitolata “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”; l’illecito de quo punisce il sanitario che a causa dell’errore diagnostico causi la morte o le lesioni personali del paziente, pertanto si applicheranno le pene si cui agli artt. 590 cp e 589 c.p..

In quali casi il sanitario non risponde penalmente?

La legge Gelli – Bianco, a differenza del precedente decreto “Balduzzi”, sembrerebbe non differenziare, ai fini della responsabilità penale, le varie tipologie di colpa; secondo il testo normativo, il sanitario non risponderebbe per imperizia, qualora abbia agito secondo le linee guida conformi al caso concreto.

Seguendo il dettato letterale della norma, sembrerebbe  che la stessa configuri una scriminante alla condotta imperita del medico il quale, tuttavia, abbia, in ogni caso, adottato le linee guida adatte al caso di specie.

Sul punto sono intervenute numerose sentenze della giurisprudenza di legittimità e di merito, statuendo, che nelle ipotesi di imperizia “non basta, dunque, perché il comportamento del sanitario sia scriminato, essersi attenuti asetticamente alle linee guida o raccomandazioni previste per quell’intervento chirurgico per andare esenti da responsabilità, ma deve esserci una valutazione da parte del medico in ordine al fatto se effettivamente quelle linee guida siano adeguate al caso di specie”.

Ad esempio, se un paziente è stato più volte operato per la stessa patologia ma il medico si è attenuto ad osservare le linee guida adatte al caso di specie la sua condotta andrà esente da responsabilità.

Si fa riferimento quindi solo all’imperizia (errore tecnico da parte del sanitario che ha agito al di fuori di quello che è il livello minimo di esperienza e di cultura medica: in pratica, mancanza di preparazione). Il dubbio sulla possibile coesistenza di una condotta imperita nel rispetto delle linee guida può essere solo dissipato ritenendo che il legislatore abbia inteso imputare al sanitario una condotta laddove applichi le linee guida e queste non erano rispondenti al caso concreto.

Al riguardo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8770 del 21.12.2017 ha affermato i seguenti punti: 1) il medico risponderà penalmente secondo l’art 43 c.p. per negligenza e per imprudenza, anche nelle ipotesi di colpa lieve; 2) per imperizia risponderà ai sensi dell’art 43 c.p., anche per colpa lieve, nelle seguenti ipotesi:

  • errore di esecuzione quando non ci sono linee guida;
  • erronea individuazione delle linee guida o mancata disapplicazione per la specificità del caso concreto;
  • colpa solo grave da imperizia nell’esecuzione quando abbia rispettato le linee guida per tale fase, adatte al caso concreto , e tenuto conto nella valutazione della gravità della colpa, del livello di difficoltà tecnica del trattamento.

In conclusione, sulla scorta dei principi testé richiamati, il medico non risponde mai di imperizia per l’inquadramento e la diagnosi quando si sia attenuto alle linee guida e ne abbia verificato l’attendibilità al caso concreto.

Quali sono gli steps iniziali prima di adire il Giudice?

Prima di esperire l’azione innanzi al Giudice, un buon avvocato dovrebbe consigliare il proprio assistito di  effettuare l’accesso presso la struttura sanitaria, al fine di ottenere la documentazione medica necessaria.

Difatti, l’art 4 della l 24/2017 stabilisce che , entro sette giorni dalla richiesta effettuata dal paziente, la struttura sanitaria è tenuta a rilasciare al paziente la cartella clinica e tutta la documentazione necessaria.

Dopo aver ottenuto i documenti necessari, l’avvocato potrà consigliare al proprio assistito di effettuare una perizia di parte sia per quantificare i danni sia per valutare se vi siano oggettivante dei presupposti per esperire l’azione risarcitoria.

Inoltre, giova ricordare, che l’ art 8 della succitata riforma, prevede un meccanismo finalizzato a ridurre il contenzioso per i procedimenti rivenienti da responsabilità sanitaria., prevedendo accanto alla mediazione obbligatoria, una nuova condizione di procedibilità – da esercitarsi nelle forme del ricorso ex art 696 bis c.p.c.

Pertanto, l’azione risarcitoria in materia di responsabilità sanitaria, deve essere preceduta da una conciliazione obbligatoria, pena l’improcedibilità della domanda in sede di giudizio.

Quali sono i danni risarcibili?

L’errata diagnosi del sanitario può provocare non solo danni di natura patrimoniale al paziente danneggiato, il quale si vede costretto, a seguito dell’errore diagnostico, ad affrontare altre terapie anche a sue spese.

Non di poco conto, sono le conseguenze sul versante non patrimoniale, difatti l’errata o tardiva diagnosi è spesso ricollegata alla “perdita di chance”; tale danno è strettamente correlato al pregiudizio subito dal paziente a seguito dell’errata diagnosi in termini di mancata possibilità statistica di guarigione.

Pertanto, chi agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno da “perdita di chance” dovrebbe dimostrare il mancato vantaggio ottenuto o meglio la mancata possibilità di guarigione, se il medico non avesse errato la diagnosi.

In conclusione, chi agisce per ottenere il risarcimento del danno da ” perdita di chance” dovrà dimostrare in via probalistica l’effettiva possibilità di sopravvivenza, conseguentemente sarà il giudice a liquidare il danno in via equitativa.

Ad esempio, se venisse diagnosticato erroneamente al paziente un tumore, la perdita di chance sarebbe  paragonata alla perdita di speranza nella possibilità di sopravvivenza, pertanto il giudice valuterà il danno, calcolando la somma che sarebbe spettata la paziente nell’ipotesi di invalidità permanente, dividendo la somma per il numero di anni della vittima e moltiplicando il risultato per il numero di anni probabilmente persi.

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