Diritto Civile

Risarcimento Danni Cane Investito

Il tema del presente articolo deve aver breve premessa; in considerazione della circostanza che il ferimento o l’uccisione di un animale che amiamo e con il quale spesso condividiamo la nostra vita ed abitudini non può che comportare una sorta di “lutto”.

Risarcimento danni cane investito

risarcimento danni cane investito

Da elaborare ed accettare anche nel giusto evolversi del ritmo della vita e dei cd cicli chiusi.

Chi vi scrive ama profondamente i cani; che per lo più adotta salvandoli dal canile e, forse, da probabili malattie e morte. Questo nonostante le migliori intenzioni dei volontari e di chi occupi il proprio tempo nel cercare di curare ed alleviare sofferenze spesso indotte.

Su maltrattamenti e cuccioli abbandonati nei cassonetti della spazzatura, insomma, potremo discorrere per giorni interi.

Dal 1978 ad oggi si è cercato di codificare quello che deve e può intendersi anche come sentimento.

Nella Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali – Parigi 1978 – si è tentato di definire il legame di affezione “ogni animale che l’uomo ha scelto per compagno; il quale ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità“.

Successivamente nel 1987 – Convenzione Europea per la protezione degli animali – l’Italia era tra i primi Paesi firmatari; salvo con ritardi biblici attuare ciò che in via pratica disponeva la Convenzione stessa. Anche a seguito del Trattato di Lisbona – anno 2007 – veniva codificato l’animale quale “essere senziente”; lo sviluppo normativo interno, tuttavia, vedeva anche nel 2010 un intervento legislativo tuttavia non risolutivo. Nel senso che seppur la normativa sia intervenuta in ambìto civile così come in disciplina penale – nonchè amministrativa – non v’è chi non veda un’  oggettiva difficoltà a riconoscere e ricondurre la tematica in binari accettabili e conformi all’empatìa ed all’effetto – se non amore – che lega la simbiosi uomo /cane.

Certamente l’ordinamento considera meritevole di tutela detto rapporto; dovendo tuttavia ricondurlo in asettiche figure normative scevre da implicazioni emotive e di affezione ecco che si denotano distonìe. Per lo più visibili anche nelle pronunce dei Tribunali.

Infatti il risarcimento del danno patrimoniale sopportato dall’uomo per maltrattamenti, incidenti ovvero uccisione del proprio cane pare esser riconducibile – da pressochè conforme giurisprudenza – al tradizionale concetto di res; cioè al rapporto dell’animale quale cosa riconducibile ad un concetto di utilità che lo lega al proprietario.

Rimanendo priva di risvolto, ancorchè di recente si sia aperto uno spiraglio di cui si dirà infra, la tematica sottesa al risarcimento del danno non patrimoniale.

EVOLUZIONI DI GIURISPRUDENZA

Già con Corte di Cassazione  N. 14846/2007 si delineava l’assunto che fosse esclusa la rilevanza costituzionale del danno patito – quale tipologia non patrimoniale ex art. 2059 codice civile – in conseguenza di un fatto illecito compiuto nei confronti di un animale di affezione di una coppia di coniugi.

In particolare, pur avendo visto di fatto uccidere il cavallo a cui la famiglia era molto affezionata, i Giudici non vedevano alcuna possibilità di ristoro del danno non patrimoniale.

Nel 2008 la Corte di Cassazione emanava quattro sentenze gemelle in punto; pressochè conformi e volte all’unisono a contemplare la non risarcibilità del danno non patrimoniale connesso alla sofferenza umana patita a seguito della perdita del proprio animale di affezione.

Le cd “decisioni di San Martino ” (così chiamate le 4 sentenze) venivano supportate da questo ragionamento; volto a riconoscere il danno non patrimoniale solo in tre ipotesi:

  1. Fatto costituente reato;
  2. Riconoscimento espresso da parte del legislatore di un danno di natura non patrimoniale;
  3. Lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

Da ciò, pertanto, la non riconoscibilità e tutela risarcitoria laddove non si riscontri la lesione di diritti inviolabili della persona.

Nonostante evoluzioni normative, di coscienza sociale e di comportamenti tale assunto veniva di recente ribadito dalla Corte di Cassazione; con ordinanza N. 26770 del 2018 infatti veniva dichiarata inammissibile alla luce delle tematiche di cui sopra la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale (quale quello esistenziale in primis) derivante dal ferimento dell’animale di affezione a seguito di incidente stradale.

Da qui, in definitiva, il riconoscimento delle sole spese di cura (parcella veterinario e medicinali) così come altre spese vive; debitamente circostanziate e di cui a scontrini.

A null’altro valeva il richiamare, anche nei confronti della Compagnia di assicurazione dell’auto investitrice, la violazione di cui all’art. 2043 codice civile sui danni derivanti da fatto illecito.

Caso concreto e situazione capovolta: la responsabilità del proprietario del cane in caso di incidente stradale

Nel caso in cui un’auto investa un cane e si provi che il conducente del mezzo si sia correttamente comportato – sotto il profilo delle condotte di cui al Codice della strada – il proprietario dell’animale potrebbe essere ritenuto responsabile e, di conseguenza, condannato a risarcire i danni.

Nel 2017 – decisione N. 4202 – la Corte di Cassazione ha in definitiva così statuito; ciò poichè lo stesso si presume responsabile di tutti i danni cagionati dal quadrupede ivi compresi i danni arrecati all’automobile in seguito ad incidente (provocato da fuga del cane e corsa in mezzo alla carreggiata).

Il codice civile infatti in punto detta disciplina specifica: il proprietario di un animale – o chi se ne serva per il tempo in cui lo ha in uso – è ritenuto responsabile dei danni causati dall’animale sia che rimanga sotto la propria custodia sia che sia smarrito o fuggito.

Salvo la prova cd del caso fortuito. Quindi in definitiva una vera e propria tipologia di responsabilità oggettiva in quanto prescinde da colpa ancorchè da malafede.

Insomma le condotte dell’animale, non volute e certamente non prevedibili da parte del proprietario, ricadono comunque sempre nella sfera giuridica di quest’ultimo a meno che sia intervenuto, potendosi comprovare, un fatto del tutto impossibile da impedire anche con la massima diligenza.

Come più sopra accennato affinchè l’automobilista  possa richiedere il risarcimento è necessario che comprovi di aver tenuto al momento del fatto una condotta conforme ai dettati del Codice della strada; quindi guida prudente, regolare distanza di sicurezza e così via.

Laddove, a contrario, il proprietario del cane riesca a dimostrare ad esempio un eccesso di velocità od altro allora il risarcimento dei danni potrà vedere rovesciamento di spettanze; con l’automobilista condannato a risarcire il danno correlato alla perdita dell’animale ovvero al suo ferimento.

A corollario si desume da questo ragionamento che in caso di investimento di animale non si applichino le norme sugli incidenti stradali tra veicoli (cioè normativa volta a presumere una pari responsabilità tra conducenti salvo si comprovi l’altrui colpa e la propria regolarità di condotta alla guida).

TRIBUNALE DI ROMA XII SEZIONE CIVILE: Le cose iniziano a cambiare

In via di fatto riconoscendo l’inadeguatezza della normativa attualmente in vigore alcuni Giudici hanno cominciato a decidere alla stregua del comune sentire più che sull’onda del diritto vigente.

In tale contesto nasce la sentenza emessa dal Tribunale di Roma – anno 2017 – con la quale si riconosce anche il risarcimento del danno morale ( ergo di natura non patrimoniale ) a carico di chi investa un cane “per l’apprensione e la sofferenza del proprietario del cane ferito”.

Il caso concreto.

Un cucciolo di Border Collie veniva investito da un furgone e lasciato sul ciglio della strada senza essere soccorso dal conducente.

Veniva in seguito salvato pur riportando molteplici fratture spinali; seguiva  un lunghissimo ciclo di cure veterinarie. Il proprietario dell’animale, sconvolto dall’incidente, non esitava a sostenerne i costi ingenti; citando poi, in seguito, la controparte in Tribunale.

Espletate prove testimoniali sulla dinamica dell’incidente – dalle quali si evinceva la forte velocità dell’auto – alla fine del giudizio il Tribunale condannava  il proprietario del veicolo, il conducente e l’Assicurazione  del mezzo a risarcire una somma a titolo di molteplici danni; tra questi, appunto, anche quelli connaturati alla sofferenza emotiva ed apprensione subite dal proprietario del cane.

Quella sin qui descritta può considerarsi decisione innovativa e con inversione di tendenza alla precedenti citate; proprio in quanto, come menzionato più sopra, il nostro ordinamento civile considera ancora gli animali come “bene mobili” non riconosciuti e riconoscibili quali soggetti autonomi di diritto in caso di lesioni ovvero uccisione.

Di talchè, insomma, non viene riconosciuto un risarcimento all’animale in quanto soggetto di diritto bensì viene nel caso valutato il patimento / danno subìto dal proprietario  per accadimento in danno al proprio animale di affezione.

La ratio appare analoga a quanto avviene in ambìto penale:  nei casi di lesione, maltrattamenti ovvero uccisione di animali la pena irrogata sottointende, anche e comunque,  la tutela del sentimento che le persone nutrono nei confronti degli animali.

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