Diritto Penale

Il delitto di Diffamazione

Il Reato di Diffamazione 

Il delitto di diffamazione è un reato disciplinato dall’art. 595 del Codice Penale italiano ed è posto a tutela dell’onore e della reputazione della persona offesa.

Quest’ultimo punisce, infatti, tutte quelle condotte con cui un individuo, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione senza la presenza dell’offeso.

Ad esempio, qualora un lavoratore, durante una conversazione con due suoi colleghi, affermi falsamente che un altro collega, in quel momento assente, sia un ladro, tali affermazioni appaiono evidentemente lesive della reputazione e dell’onore del terzo assente.

Questo perché tali dichiarazioni risultano essere potenzialmente idonee a mettere in cattiva luce il lavoratore di fronte ai suoi colleghi.  I quali potrebbero effettivamente etichettarlo erroneamente come ladro.

Quando si può parlare di diffamazione?

Come tutte le fattispecie di reato previste nel nostro ordinamento anche per il delitto di diffamazione è possibile individuare degli elementi costitutivi e tipici che consentono di distinguerlo da altri.

I requisiti necessari per ritenere configurato tale delitto sono i seguenti:

  • L’offesa alla reputazione altrui: le affermazioni pronunciate dal colpevole devono ledere la reputazione altrui, cioè la stima e il giudizio positivo che gli altri hanno di un’altra persona;
  • La comunicazione con più persone: le frasi diffamatorie devono essere percepite come tali da almeno due persone. In merito, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere soddisfatto questo requisito anche nel caso in cui l’offesa sia comunicata ad una sola persona e quest’ultima la comunichi, a sua volta, ad altre (cd. passaparola).
    Ad esempio, sussiste il delitto di diffamazione a seguito dell’invio di una lettera denigratoria destinata al Presidente dell’Ordine degli Avvocati. Poiché tale comunicazione dà inizio ad un procedimento che per legge deve essere portato a conoscenza di più persone (Cass. n. 6114/2018).
  • L’assenza dell’offeso: elemento fondamentale di tale reato, consistente nell’impossibilità dell’offeso di percepire direttamente e quindi nell’impossibilità di difendersi in prima persona.

Pertanto, in presenza di tutti questi requisiti oggettivi ed in presenza della consapevolezza e della volontà da parte del soggetto diffamante di ledere la reputazione altrui, potrà dirsi consumato il delitto di diffamazione.

Qual è la differenza tra la diffamazione e l’ingiuria?

Il nostro Codice Penale prevedeva due fattispecie di reato che potevano offendere l’onore e la reputazione delle persone: l’ingiuria e la diffamazione.

L’ingiuria disciplinata dall’art. 594 c.p. e la diffamazione, come già visto, dall’art. 595 c.p..

Sebbene entrambi mirino a tutelare la dignità, l’onore e la reputazione degli individui, presentano delle differenze fondamentali.

Occorre, sin da subito, chiarire che il reato di ingiuria, disciplinato dall’art. 594 c.p., è stato depenalizzato con una riforma del 2016.

Pertanto, l’offeso non potrà far valere i propri diritti davanti al giudice penale ma potrà richiedere il risarcimento dei danni subiti di fronte al giudice civile.

Ad ogni modo, le due fattispecie erano costruite in modo piuttosto simile, differenziandosi solamente in ordine all’elemento della presenza o meno della persona offesa.

Nel caso in cui un individuo offenda una persona presente si parlerà di ingiuria, mentre qualora l’offesa, come già riportato nel paragrafo precedente, sia rivolta alla reputazione di una persona assente, si configurerà una diffamazione.

Ad esempio, è stato ritenuto integrato l’illecito dell’ingiuria nei confronti di un Preside che si era riferito ad un Professore, ed in presenza di altri colleghi, con la seguente espressione: “lei dice solo stronzate” (Cass. 37380/2011). Dichiarazioni che sono ritenute lesive dell’onore e della reputazione del Professore, ma attesa la presenza della persona offesa e quindi della possibilità dello stesso di replicare alle offesa in prima persona non può ritenersi configurata la diffamazione.

Di contro, integra il delitto di diffamazione la condotta con cui un soggetto, comunicando con due persone, qualifichi come mafioso un terzo assente, in mancanza di qualsiasi elemento che ne suffraghi la veridicità (Cass. n. 39047/2019), non avendo in questo caso l’offeso la possibilità di replicare direttamente alle dichiarazioni del primo.

Quali sono le pene previste per il reato di diffamazione?

L’art. 595 c.p., infatti, prevede diverse ipotesi di diffamazione che potremmo distinguere più semplicemente in diffamazione semplice e diffamazione aggravata.

La diffamazione semplice, disciplinata dal primo comma dell’art. 595 c.p. e descritta nei paragrafi precedenti, la quale si realizza in tutti quei casi in cui qualcuno offende la reputazione di un’altra persona in sua assenza, comunicando con più persone, è punita con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa fino ad euro 1032.

La pena della reclusione, in questo caso, verrà disposta dall’autorità giudiziaria solo nei casi in cui l’offesa venga ritenuta particolarmente rilevante.

La diffamazione aggravata, che trova la sua disciplina nei commi 2, 3 e 4 dell’art. 595 c.p., potrà verificarsi in presenza di una delle seguenti circostanze:

  • Qualora l’offesa abbia ad oggetto l’attribuzione di un fatto determinato (art 595 c. 2 c.p.): in tal caso l’offesa all’altrui reputazione deriva dall’attribuzione di un fatto determinato, e ciò può avere un impatto negativo maggiore sulla reputazione dell’offeso. Tale maggiore impatto comporta un aumento di pena rispetto al reato base portandola fino a due anni di reclusione o fino ad euro 2065 di multa.
    Ad esempio, è stata pronunciata una sentenza di condanna alla pena di 600 euro di multa per una diffamazione aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato nei confronti di un signore  che, comunicando con più persone, ha affermato che un Luogo Tenente della Guardia di Finanza era facilmente corruttibile e con solo 500 euro avrebbe ridotto eventuali sanzioni.
  • Qualora l’offesa sia arrecata col mezzo della stampa, con qualsiasi altro mezzo di pubblicità o in atti pubblici: in virtù della più ampia platea di destinatari delle dichiarazioni diffamanti la legge prevede la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni o della multa non inferiore ad euro 516. Tale aggravante, dunque, si verrà a determinare in tutti quei casi in cui vengano utilizzati mezzi di diffusione di informazione, come appunto la stampa, la televisione o anche internet (social network, articoli online ecc.).
    Quindi, se un giornalista pubblichi un articolo, sia su un quotidiano sia online, accusando un politico di corruzione, senza avere elementi concreti in orine alla verità del fatto, risponderà del delitto di diffamazione aggravata dall’uso del mezzo della stampa.
    In merito, bisogna ricordare che la Corte Costituzionale con ordinanza n. 132/2020 ha chiarito che la pena della reclusione, in caso di diffamazione a mezzo stampa, è applicabile e quindi compatibile con la Costituzione solo nei casi di eccezionale gravità.
  • Qualora l’offesa sia arrecata ad un Corpo politico, amministrativo, giudiziario o ad una sua rappresentanza: in tal caso è previsto un aumento di pena di un terzo rispetto alle pene stabilite dal primo comma, in ragione del fatto che l’offesa rivolta ad uno di tali soggetti non colpisce solamente la reputazione individuale dell’offeso ma anche dell’istituzione rappresentata dallo stesso.

reato di diffamazione

La diffamazione è sempre punibile?

Preso atto delle caratteristiche essenziali del delitto di diffamazione, in conclusione non si possono non menzionare alcune delle cause di esclusione della punibilità che il Legislatore ha previsto per tale reato.

Quest’ultime, infatti, sono state introdotte al fine di bilanciare alcuni dei diritti fondamentali del nostro ordinamento: il diritto alla protezione dell’onore e della propria reputazione da un lato e i diritti della libertà di espressione e cronaca dall’altro.

Tra le cause di esclusione della punibilità più diffuse vi sono sicuramente quella della provocazione, dell’esercizio del diritto di critica e del diritto di cronaca.

Quando la provocazione esclude il delitto di diffamazione?

L’art. 599 c.p. dispone che non è punibile colui che ha commesso uno dei fatti disciplinati dall’art. 595 c.p. nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, purché la diffamazione sia avvenuta subito dopo di questo.

Affinché la cd. provocazione possa determinare l’esclusione della punibilità sarà necessaria la presenza di due presupposti fondamentali: il fatto ingiusto altrui e lo stato d’ira conseguente a quest’ultimo.

Per fatto ingiusto deve intendersi qualsiasi comportamento che sia contrario alla legge ma anche alle regole di convivenza civile, mentre lo stato d’ira sussiste in tutti quei casi in cui vi è la perdita del controllo di sé stessi e quindi uno squilibrio psicologico.

In presenza di questi requisiti la condotta non può considerarsi penalmente rilevante e il soggetto dovrà essere assolto.

È il caso, ad esempio, di un avvocato che è stato assolto per l’invio di un fax in cui veniva insultata la controparte assistita da un collega perché costituiva reazione all’ingiusta contestazione da parte del collega stesso di un fatto deprecabile, non commesso dall’avvocato, come ritenuto dal collega, ma da questi subito ad opera della controparte assistita dal secondo.

O ancora, è stata riconosciuta la provocazione nel caso di un’insegnante la quale, a fronte di un’ingiustificata accusa rivoltale dalla madre di un’alunna, di usare un metodo “hitleriano”, aveva replicato dicendo alla donna che ella insegnava alla figlia a mentire.

Quando il diritto di critica esclude il reato di diffamazione?

Il diritto di critica è un’altra causa di esclusione della punibilità prevista per il delitto di diffamazione.

Questa consiste nella libertà di esprimere un proprio giudizio o di manifestare una propria opinione, che, come tale, non può non essere rigorosamente soggettiva, in merito ad un determinato accadimento o ad un fatto.

Tale diritto di critica, però, dovrà rispettare una serie di requisiti.

Infatti, affinché possa operare, escludendo la punibilità, sarà necessario che l’accadimento o il fatto su cui si esprime la propria opinione risulti essere veritiero (cioè accaduto veramente), ed inoltre la propria opinione dovrà essere espressa con una correttezza di linguaggio (cd. continenza) che non sfoci in offese gratuite o in attacchi personali.

La Cassazione ad esempio ha annullato senza rinvio, assolvendo di conseguenza l’imputato perché il fatto non costituisce reato, la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli con la quale veniva ritenuta sussistente una diffamazione, a seguito della diffusione da parte di un soggetto di un volantino contenente delle affermazioni lesive della reputazione di un Presidente provinciale.
Affermazioni proferite nell’ambito di un risalente contrasto acuitosi durante la campagna
elettorale e relative a fatti che avevano dato luogo al commissariamento dell’ente.

In tal caso, la Corte ha ritenuto sussistente il diritto di critica poiché il fatto richiamato dal volantino oltre ad avere un interesse pubblico è stato riportato con modalità che costituivano espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (Cass. n 7340/2019).

Quando può ritenersi sussistente il diritto di cronaca?

Così come il diritto di critica, il diritto di cronaca trova il proprio fondamento nel diritto costituzionalmente riconosciuto di esprimere liberamente il proprio pensiero.

Questo diritto, riconosciuto specialmente a coloro che svolgono la professione di giornalista, consiste nel diritto di informare la collettività sui fatti ed avvenimenti che hanno un interesse pubblico.

I requisiti previsti per l’operatività di questa causa di esclusione della punibilità del delitto di diffamazione sono: la verità della notizia, l’interesse della collettività a conoscere l’accadimento e la continenza del linguaggio.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalista che riporta una notizia tratta da un procedimento penale, segnalando che il colpevole è stato condannato all’ergastolo e tale condanna oltre che veritiera è definitiva, dovrà essere assolto per esercizio del diritto di cronaca giudiziaria.

Mentre se la stessa notizia si sia rivelata priva di fondamento, ad esempio perché l’imputato è stato successivamente assolto senza che ne sia stata data notizia nell’articolo, in tal caso il giornalista non potrà invocare l’esimente del diritto di cronaca e risponderà del delitto di diffamazione.

Inoltre, il giornalista che riporta un’intervista potrà beneficiare dell’esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni diffamatorie a lui rilasciate dall’intervistato, qualora queste siano riportate in modo fedele ed imparziale, senza commenti e chiose e purché l’intervista abbia un pubblico interesse per la collettività (Cass. n. 41013/2021).

 

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